Neurodegenerazione con accumulo cerebrale di ferro (NBIA)

  • 8 Progetti di Ricerca Finanziati
  • 12 Ricercatori
  • 3.653.056€ Finanziamento totale

Che cos’è e come si manifesta la neurodegenerazione con accumulo cerebrale di ferro?

L’espressione neurodegenerazione con accumulo cerebrale di ferro (descritta con l’acronimo NBIA) indica un gruppo di malattie neurodegenerative di origine genetica caratterizzate dalla deposizione di ferro a livello dei gangli della base, area del cervello normalmente deputata al controllo del movimento. Questa caratteristica distintiva può essere visualizzata grazie a esami radiologici e istopatologici. Si tratta di malattie molto rare, la cui incidenza nella popolazione generale non supera 1-3 casi per milione. Piuttosto eterogenee rispetto all’esordio e alla sintomatologia clinica, sono accomunate da disturbi neurologici quali distonia, parkinsonismo e spasticità, associati in modo variabile ad anomalie neuropsichiatriche, atrofia ottica o degenerazione retinica.

Come si trasmette la neurodegenerazione con accumulo cerebrale di ferro?

Finora sono stati identificati 15 geni causativi delle NBIA, che codificano per proteine con un ampio spettro di funzioni biologiche. A seconda del gene, la trasmissione può essere autosomica recessiva, autosomica dominante o legata all'X, mentre l’incidenza è molto bassa (1-3 per milione di individui nella popolazione generale). Tra i geni causativi delle NBIA, solo due codificano per proteine associate al metabolismo del ferro: FTL, codificante la ferritina e associato alla neuroferritinopatia, e CP, codificante la ceruloplasmina e associato alla aceruloplasminemia. Tutti gli altri codificano invece per proteine non coinvolte nella gestione del ferro: tra queste, la più diffusa è la PKAN, causata da mutazioni nel gene PANK2 e responsabile di circa la metà dei casi di NBIA. Come la CoPAN, più rara e causata da mutazioni nel gene COASY, la PKAN è caratterizzata da carenza di coenzima-A (CoA), in quanto entrambe le patologie sono dovute a difetti in enzimi chiave per la sua sintesi.

Come avviene la diagnosi della neurodegenerazione con accumulo cerebrale di ferro?

La diagnosi delle NBIA si basa sulla sintomatologia clinica e sulle evidenze di accumulo di ferro a livello cerebrale ottenute mediante risonanza magnetica. Inoltre, avendo le diverse patologie caratteristiche comuni sia per quanto riguarda la sintomatologia che le evidenze radiografiche, la diagnosi necessita dell’approfondimento genetico per distinguere il gene causativo. In particolare la PKAN, che di solito si manifesta nella prima infanzia con disturbi dell'andatura e progredisce rapidamente in un grave deficit di movimento con distonia, disartria e disfagia, presenta in risonanza magnetica un segno distintivo, definito "occhio di tigre", e che riflette il particolare accumulo focale di ferro. Altri segni distintivi in risonanza magnetica si possono avere anche nelle altre patologie, come per esempio le “cisti” tipiche della neuroferritinopatia. Nel caso dell’aceruloplasminemia, invece, la diagnosi viene confermata dal dosaggio della ceruloplasmina nel sangue: se la proteina è assente si procede con un'analisi molecolare del gene per individuare eventuali mutazioni responsabili.

Quali sono le possibilità di cura attualmente disponibili per la neurodegenerazione con accumulo cerebrale di ferro?

Non esiste al momento una cura specifica per queste patologie. Studi clinici sul deferiprone, un chelante del ferro, hanno dimostrato come questa molecola sia molto efficace nell’asportare il ferro dal cervello, tuttavia non sempre questo si associa a una riduzione della sintomatologia. Per la PKAN e la CoPAN sono in corso anche studi su modelli cellulari e animali per testare la capacità del CoA e dei suoi derivati di supplire alla carenza di questo fattore. Un altro filone di ricerca è quello volto alla comprensione del meccanismo di associazione tra l’accumulo di ferro e la carenza di CoA e alla verifica dell’efficacia di trattamenti combinati tra chelanti del ferro e molecole che attivino la sintesi del coenzima. Nel caso dell’aceruloplasminemia, oltre ai chelanti del ferro, la combinazione di desferoxamina e plasma umano fresco congelato può contribuire a ridurre il contenuto epatico di ferro. Gli antiossidanti, come la vitamina E, e la somministrazione orale di zinco possono prevenire il danno tissutale. La prognosi è legata all'insufficienza cardiaca da accumulo di ferro nell'organo.

Ultimo aggiornamento

17.02.21

Il tuo browser non è più supportato da Microsoft, esegui l'upgrade a Microsoft Edge per visualizzare il sito.