Secondo un’indagine, realizzata nell’autunno 2018, in media sono circa 20 le giornate, che una persona affetta dalla malattia di Anderson-Fabry perde ogni anno per recarsi in ospedale per visite e terapie. Questa malattia genetica rara, caratterizzata da un accumulo di lisosomi, infatti, oltre a non avere ancora una cura, ma solo una terapia enzimatica sostitutiva e (per alcune mutazioni) anche una terapia orale, è una patologia multisistemica che a lungo andare può provocare danni severi al sistema nervoso, ai reni e al cuore. Per poter tenere sotto controllo tutti gli organi potenzialmente coinvolti, ciascun paziente ogni sei mesi (oppure annualmente, in base al proprio stato di salute) deve recarsi in ospedale per le visite e gli esami di controllo, che sono numerosi e coinvolgono diversi specialisti. Peccato però che difficilmente si riesca a programmare ed effettuare con regolarità quanto necessario per il monitoraggio della malattia e raramente visite ed esami vengano fissate nello stesso giorno, bensì in giorni (se non settimane) diversi senza tenere conto del viaggio, a volte molto lungo, e quindi costoso, che occorre affrontare per raggiungere i centri regionali di riferimento. A questo si devono aggiungere le terapie, che nella maggioranza dei casi consistono in infusioni dell’enzima mancante che vengono effettuate ogni due settimane. Non sempre possibili a casa.
Sono infatti 6 le regioni italiane che non permettono l’accesso al servizio domiciliare. I ripetuti accesi ospedalieri rendono dunque difficile lo svolgimento della regolare routine quotidiana, in particolare di quella riguardante il lavoro o lo studio, se si tratta di pazienti più giovani. È per questo motivo che Aiaf, l’Associazione Italiana Anderson-Fabry Onlus, tra le Associazioni Amiche di Fondazione Telethon, ha deciso di realizzare il progetto “Caring Fabry” che si pone come obiettivo di cercare di migliorare la presa in carico dei pazienti e permettere loro di svolgere una vita il più normale possibile.
«In molte regioni la terapia enzimatica viene svolta a domicilio - spiega Stefania Tobaldini, Presidente di Aiaf Onlus - ma in alcune ciò non è ancora previsto e questo obbliga i pazienti in cura con questa terapia a recarsi ben 26 giorni all’anno in ospedale per l’infusione. Se a questi giorni sommiamo anche quelli dedicati alle visite di controllo disorganizzate, ci accorgiamo che sono molte le giornate che vanno perse e per le quali un paziente ha necessità di richiedere permessi, ferie o giorni di malattia a lavoro. Il problema si riversa molto frequentemente anche sulle famiglie, perché spesso il paziente ha bisogno di essere accompagnato da un familiare».
Prendendo come modello l’esperienza di due Centri di riferimento italiani, l’Ospedale San Gerardo a Monza e l’AOU Careggi e Meyer di Firenze, l’Associazione punta a realizzare un protocollo di linee guida comuni da far attuare in tutta Italia. Al momento è in corso la prima fase del progetto, ovvero il confronto con i due Centri, che hanno in carico un elevato numero di pazienti Anderson-Fabry. A questo seguirà una fase di condivisione e armonizzazione insieme al Comitato Scientifico di Aiaf. Al termine di questo percorso si arriverà alla definizione di un percorso di presa in carico del paziente codificato e universale.
«Gli ospedali dovrebbero essere maggiormente sensibilizzati sul problema. Non bastano medici di buona volontà che si fanno carico delle esigenze e delle necessità dei pazienti; sono necessari percorsi strutturati, che per prima cosa offrano ai pazienti un’equipe multidisciplinare che prenda in carico i pazienti in modo coordinato e programmato. Vorremmo iniziare un percorso condiviso con le aziende ospedaliere e, se riusciremo a realizzare il nostro intento, questo modello “ideale” di presa in carico potrebbe diventare replicabile anche per altre patologie multisistemiche».
Il tema della presa in carico del paziente è stato dettagliatamente trattato anche lo scorso 22 giugno a Roma durante l’Incontro Regionale Medici-Pazienti del Lazio, organizzato da Aiaf e patrocinato da Telethon con l’obiettivo di creare una rete locale di contatti e di solidarietà tra le persone e le famiglie che convivono con la malattia e che spesso si trovano ad essere isolate a causa della rarità. Nello specifico, oltre ai medici e agli specialisti, anche i pazienti si sono interrogati sul tema, soffermandosi su alcuni aspetti: dalla frammentarietà della presa in carico alla necessità di avere maggiori informazioni sull’evoluzione della malattia, dal maggiore sostegno in fase di diagnosi alla necessità di conoscere i propri diritti in quanto malati. Ultimo, ma non per importanza, il desiderio di essere sostenuti in ambito lavorativo, a dimostrazione che anche in questo campo coloro che sono affetti dalla malattia di Anderson-Fabry vedono ripercuotersi gli effetti negativi della propria condizione di salute.
Per rendere sempre più salda ed efficace la collaborazione delle Associazioni in rete abbiamo scelto di condividere i progetti di successo, realizzati dalle organizzazioni vicine alla Fondazione, sui nostri spazi web. Vogliamo mettere a fattor comune idee e processi vincenti, da cui trarre ispirazione e nuovo entusiasmo. Fondazione Telethon dà visibilità ai progetti delle singole Associazioni, nati con l'obiettivo di migliorare la qualità di vita dei pazienti con una malattia genetica rara. Vogliamo così stimolare il confronto e la possibilità per tutti di entrare in contatto con le Associazioni o richiedere approfondimenti in merito alle iniziative raccontate.