Insieme a Giancarlo Parenti, ricercatore dell’Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem), scopriamo quali sono le principali prospettive e strategie terapeutiche per la malattia di Pompe, quali le speranze per il futuro della comunità dei pazienti e delle famiglie.
«Qualsiasi cosa vogliate provare, sperimentare, io ci sono, consideratemi la vostra prima cavia. Mi rendo disponibile. Per me e per tutti quelli come me che soffrono».
Ripeteva sempre così Rossella, perché credeva fermamente che solo nella ricerca scientifica risiedesse la possibilità di migliorare il futuro delle persone che come lei erano nate con una malattia genetica, quella di Pompe, che colpisce i muscoli e compromette gravemente non solo il movimento, ma anche il respiro, il funzionamento del cuore e – nei casi più gravi – la vita stessa. Rossella, da sempre grande sostenitrice della Fondazione, ci ha purtroppo lasciati lo scorso 26 febbraio, all’età di 21 anni e a soli 4 esami dalla laurea in storia dell’arte, sua grande passione.
Oggi che della malattia di Pompe si celebra la giornata mondiale vogliamo ricordarla non solo per il suo grande sostegno alla Fondazione, ma anche e soprattutto per la sua grande fiducia nella ricerca scientifica.
Quella che, come ricorda anche la presidente dell’Associazione italiana glicogenosi Angela Tritto, «è e rimane uno strumento fondamentale per dare concretezza alle speranze di tutti noi. Lo slogan di questa giornata è "Together We Are Strong", perché crediamo fortemente che come comunità coesa di pazienti, famiglie, ricercatori, medici e partner industriali abbiamo realizzato e dobbiamo continuare a realizzare grandi cose. La realtà di oggi è sicuramente ben diversa da quella di diversi anni fa: le nostre speranze non sono più rappresentate dal trovare una terapia, ma piuttosto terapie migliori e più precise».
Le principali prospettive terapeutiche per la malattia di Pompe
Il primo farmaco approvato per questa patologia – una versione sintetica dell’enzima carente in questi pazienti prodotto artificialmente e somministrato attraverso il sangue – risale infatti al 2006: proprio Rossella era stata la prima in Italia a riceverlo nel 2004 grazie alla tenacia dei suoi genitori Biagio e Tilde, che riuscirono ad attirare l’attenzione dell’allora ministro della Salute Sirchia e ottennero che il farmaco, ancora sperimentale, arrivasse dagli Stati Uniti. La terapia enzimatica sostitutiva ha indubbiamente cambiato la storia di questa malattia, come raccontato anche da “Misure straordinarie”, film con Harrison Ford ispirato alla storia vera di John Crowley, padre di due bambini malati – oggi studenti universitari - che ha avuto un ruolo cruciale nello sviluppo del farmaco.
Tuttavia, come spiega Giancarlo Parenti, ricercatore dell’Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem) e professore di Pediatria presso l’Università Federico II di Napoli, «questa terapia funziona molto bene a livello del cuore, ma non altrettanto nei muscoli scheletrici, soprattutto con il passare del tempo. È quindi importante sia capire perché questo avviene, ma anche provare a mettere a punto strategie alternative o complementari». È proprio quanto Parenti e il suo team hanno fatto in passato grazie a fondi Telethon, individuando degli chaperon farmacologici in grado di migliorare la stabilità dell’enzima artificiale. Dopo che uno studio pilota condotto a Napoli in un piccolo gruppo di pazienti ne ha confermato l’efficacia, il testimone è passato proprio all’azienda farmaceutica fondata da John Crowley, Amicus Therapeutics, che nel 2016 ha avviato uno studio clinico internazionale negli Usa e in Europa per valutare su un numero più ampio di pazienti l’efficacia della terapia combinata (AT-GAA). Nel corso della sperimentazione, a cui ha partecipato anche il Policlinico universitario di Napoli, i pazienti trattati con questa nuova terapia hanno mostrato miglioramenti significativi e persistenti in termini di funzionalità sia motoria che polmonare. Aggiunge Parenti: «un aspetto importante nella valutazione dell’efficacia di nuove terapie è quello di avere a disposizione nel plasma dei pazienti di marcatori biologici affidabili e specifici in grado di darci un quadro personalizzato dell’andamento della malattia. Proprio su questo aspetto il nostro gruppo di ricerca ha dato un contributo importante: si tratta soprattutto di microRNA, molecole che non portano alla produzione di proteine ma la cui espressione varia in base alla somministrazione della terapia, all’attivazione di meccanismi cellulari coinvolti nella patologia e che in ultima analisi ci restituiscono una fotografia personalizzata di come sta il paziente e della sua reazione alla terapia».
Un’altra importante prospettiva per chi è affetto da malattia di Pompe è quella della terapia genica: è appena partito negli Stati Uniti uno studio clinico internazionale sponsorizzato dalla Spark Therapeutics per valutare sicurezza ed efficacia di questo nuovo trattamento, che mira a fornire una versione sana del gene attraverso un vettore virale. «L’approccio è simile a quello già utilizzato per altre malattie metaboliche, come per esempio la mucopolisaccaridosi 6 per la quale è in corso un trial basato proprio sugli studi del Tigem: il vettore virale, di tipo adeno-associato, viene somministrato attraverso il sangue e va a correggere soprattutto le cellule del fegato, che diventa una sorta di fabbrica dell’enzima per l’organismo. Sulla base degli studi precedenti in laboratorio, il vettore è costruito in modo da massimizzare la disponibilità dell’enzima normale espresso grazie alla terapia genica a livello dei muscoli, particolarmente colpiti dalla malattia e solo parzialmente raggiunti dalla terapia enzimatica sostitutiva. Anche il nostro centro clinico di Napoli sarà coinvolto nella sperimentazione, infatti abbiamo già iniziato lo screening dei pazienti potenzialmente elegibili: si comincerà dagli adulti, con la prospettiva di scendere con l’età se auspicabilmente i dati di sicurezza ed efficacia saranno soddisfacenti».
L'importanza di una diagnosi precoce
Sul fronte della diagnosi, invece, sarebbe importante che anche la malattia di Pompe venisse inserita nella lista di quelle rilevabili con lo screening neonatale esteso, come già avviene in via sperimentale in regioni come Toscana e Veneto: sebbene in maniera meno eclatante rispetto ad altre malattie, anche in quella di Pompe la precocità della diagnosi può fare la differenza nella qualità di vita dei pazienti, permettendo di intraprendere la terapia disponibile appena possibile.
«Quello appena trascorso è stato un anno molto difficile, ma non ci siamo mai fermati, né sul fronte clinico né su quello della ricerca di base – conclude Parenti. Nel pieno della pandemia abbiamo attivato un account skype dedicato per offrire assistenza alle famiglie anche a distanza, mentre in laboratorio ci siamo concentrati sullo studio degli aspetti secondari della malattia, per capire dal punto di vista molecolare e biologico quali sono le condizioni che permettono all’organismo di rispondere meglio alle terapie disponibili, massimizzandone l’effetto.
Nel nome di Rossella.