In occasione della Giornata internazionale, le associazioni di malattia Huntington onlus, Associazione Italiana Còrea di Huntington (Aich) e Associazione Italiana Huntington Emilia Romagna Onlus ci raccontano l’importanza di non lasciare sole le famiglie colpite dalla patologia, garantendo percorsi di assistenza continua e continuando a finanziare ricerca perché la strada verso la cura è ancora lunga.
Alla vigilia della Giornata internazionale della consapevolezza sulla malattia di Huntington, la presidente dell’associazione Huntington onlus Elisabetta Caletti porta l’attenzione su come «le famiglie di secondo nome Huntington si trovano a convivere con una malattia poco conosciuta, che richiede un grande impegno in termini di assistenza e cura, con cambiamenti talvolta lenti e altre volte velocissimi, spesso imprevedibili, che interessano non solo la vita della persona malata ma anche i suoi cari. Una malattia che - ancora oggi - porta con sé solitudine, isolamento e stigma sociale. A questo lavoro, che spesso avviene per lungo tempo all’interno delle mura di casa, si accompagna l’instancabile opera degli studiosi e dei ricercatori: sapere che se ne stanno occupando tenacemente ci aiuta molto. Altrettanto importante, perché il peso della malattia possa alleggerirsi in attesa di una cura, è una continua azione di informazione e sensibilizzazione perché non sia mai più nascosta e una rete tra competenze, esperienze, conoscenze multidisciplinari, sempre più ampia e vicina».
La giornata di domani è dunque quella che Francesca Rosati, presidente dell’Associazione Italiana Còrea di Huntington (Aich) di Roma, definisce una grande finestra sul mondo della ricerca.
«Nella malattia di Huntington, come per altre malattie ereditarie a insorgenza tardiva, è di rilevante importanza l’identificazione di biomarcatori che possano aiutare nella predizione dell’insorgenza e dell’evoluzione della malattia, particolarmente utili nella sperimentazione di nuovi trattamenti terapeutici per avere una valutazione rapida e oggettiva della loro efficacia. Dalla scoperta del gene responsabile nel 1993, i ricercatori hanno individuato centinaia di potenziali ‘bersagli’ per i trattamenti e insieme alle aziende farmaceutiche hanno avviato un numero crescente di studi clinici. Finora nessuno si è rivelato efficace nel fermare la malattia, per questo crediamo che la ricerca non debba fermarsi. Anzi, condividiamo con i nostri pazienti la speranza nella ricerca, così come l’entusiasmo e la voglia di partecipare alle sperimentazioni».
La fiducia nella ricerca scientifica è un filo che accomuna tutte le persone che convivono con questa grave malattia, come sottolineato anche da Antonio Fontana, presidente dell’Associazione Italiana Huntington Emilia Romagna Onlus.
«La ricerca scientifica sta percorrendo più strade: a volte suscita illusioni, ma un giorno siamo fiduciosi che produrrà risultati risolutivi. Nell’oggi - grazie al determinante impegno dell'IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna Ospedale Bellaria e di alcuni neurologi e operatori sanitari vitali ed empatici - abbiamo ottenuto l'approvazione di un Piano diagnostico terapeutico-assistenziale per la malattia di Huntington, che prevede un approccio multidisciplinare alla malattia, e stiamo insistendo per la sua concreta attuazione presso tutte le ASL emiliano romagnole: un importante passo avanti per i pazienti del territorio e le loro famiglie».