L’analisi è frutto del lavoro di un tavolo di 40 esperti che hanno valutato lo stato dell’arte, in termini di terapie e test disponibili, di oltre 20 patologie.
Aumentare le malattie genetiche oggetto di screening alla nascita, per favorire grazie a una diagnosi precoce un accesso più rapido alle cure, che può fare una grande differenza in termini di efficacia e di impatto: è questa l’indicazione che emerge dal Quaderno “SNE, prospettive di estensione del panel”, realizzato da Osservatorio Malattie Rare (OMaR) con il patrocinio di Fondazione Telethon e di UNIAMO FIMR da un gruppo di oltre 40 esperti selezionati tra clinici, rappresentanti delle società scientifiche, personale di laboratorio e associazioni di pazienti.
Grazie alla Legge 167 del 2016 l’Italia è stata il primo Paese, e al momento l’unico, a far sì che su tutti i neonati vengano ricercate oltre 40 malattie metaboliche rare che, se non prese in tempo, possono portare a disabilità o morte precoce. Al contempo la nostra legge impone anche che la lista (panel) delle malattie venga aggiornata di pari passo con il progresso tecnico e medico. I tavoli di lavoro hanno preso in considerazione oltre 20 patologie, analizzando la rispondenza a criteri scientifici riconosciuti a livello internazionale e tenendo anche conto anche dell’esistenza di esperienze di screening, in Italia o nel resto del mondo. Sette sono le patologie che hanno dimostrato di avere i requisiti per un immediato inserimento nel panel: l’atrofia muscolare spinale (Sma), le malattie di Gaucher, Fabry e Pompe, la mucopolisaccaridosi di tipo I (Mps I), l’immunodeficienza Ada-Scid e l’adrenoleucodistrofia cerebrale (X-Cald). Questo non toglie naturalmente che negli anni la lista possa ampliarsi ancora, quando arriveranno altre terapie o saranno validati altri test.
Tra le immunodeficienze primitive, una delle malattie suggerite per l’inserimento nel panel è l’Ada-Scid, per la quale grazie alla ricerca Telethon è stata messa a punto uno dei primi farmaci di terapia genica al mondo.
«Le immunodeficienze sono gravi patologie del sistema immunitario, chi ne è affetto va incontro a infezioni ricorrenti molto gravi che possono portare anche a danni d’organo e morte precoce. Se non c’è diagnosi alla nascita si riesce a capire la causa delle infezioni solo dopo che queste si manifestano, con conseguenze anche a volte fatali. Lo screening permette invece di ridurre le infezioni con la profilassi a base di immunoglobuline e antibiotici, sia di impostare precocemente una terapia per la specifica forma. In alcuni casi si può ricorrere al trapianto da donatore di cellule staminali ematopoietiche oppure, nel caso dell’Ada-Scid, anche alla terapia genica» ha affermato Alessandro Aiuti, vicedirettore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica. Per l’Ada-Scid, ma anche per la meno diffusa forma PNP e per le altre forme di immunodeficienze congenite, la Toscana è la prima – e per ora l’unica – regione a effettuare lo screening. Dal 2011 ad oggi sono stati diagnosticati 5 bimbi con SCID. Alla luce di questi dati, ma anche tenendo in considerazione alcune differenze tra i test che servono per questo screening, il tavolo di lavoro ha espresso parere favorevole all’immediato inserimento dell’Ada-Scid nel panel, un inserimento condizionato alla marcatura CE del kit diagnostico per la PNP Scid e l’inserimento del panel, ma con avvio differito, per tutte le altre immunodeficienze, perché ai laboratori servirà tempo per adeguarsi.
Per quanto riguarda la Sma, «è la condizione che negli ultimi anni ha dato i migliori risultati dal punto di vista terapeutico» - ha dichiarato Francesco Danilo Tiziano, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
«Cosa ancor più entusiasmante, intervenendo entro poche settimane dalla nascita e prima che la malattia si manifesti, i bambini che sarebbero stati affetti dalle forme gravi non sono più a rischio di sopravvivenza e per di più acquisiscono le tappe motorie ad età simile ai bimbi non affetti: solo pochi anni fa non avrebbero neanche acquisito la posizione seduta». Nel progetto pilota di screening neonatale in Lazio e Toscana, finora sono stati testati oltre 56.000 neonati ed è stata data, entro i 9 giorni di età, la diagnosi di SMA a ben 11 bambini, di cui 8 già in trattamento. La più grande ha 8 mesi e comincia a camminare.
Delle malattie lisosomiali, invece, hanno ricevuto parere favorevole quelle per cui ad oggi ci sono delle terapie efficaci e dei test commerciali validati: Mps I e le malattie di Fabry, Gaucher e Pompe. Inoltre, ci sono regioni che da anni effettuano già con successo lo screening neonatale per queste malattie: in Toscana dal 2014 vengono ricercate alla nascita le malattie di Fabry, Pompe e MPS I, mentre nell’80% del Triveneto (tutto il Friuli, la provincia di Trento e le province di Padova, Venezia, Treviso e Belluno) dal 2015 oltre a queste patologie viene ricercata anche la malattia di Gaucher. Grazie a questi progetti in Toscana sono emersi 32 casi di Fabry e 11 di Pompe, mentre nel Triveneto sono stati individuati 18 casi di Fabry, 8 di Gaucher, 26 di Pompe e 2 di Mps I.
«In assenza di screening neonatale la diagnosi di malattia di Fabry può arrivare dopo un’odissea lunga fino a 25 anni, con diagnosi errate e più specialisti consultati. Grazie allo screening, a seguito della diagnosi in un neonato spesso vengono diagnosticati familiari affetti e con sintomatologia da anni in cerca di risposta. Le terapie a disposizione sono assolutamente efficaci, ma solo se la diagnosi è precoce. Questo è evidente anche nella malattia di Pompe: senza una diagnosi precoce c’è un progressivo coinvolgimento muscolare e cardiaco con decesso nella maggior parte dei casi entro il primo anno di vita, mentre nelle forme ad esordio tardivo il decorso è più lento, subdolo, con perdita della deambulazione e della capacità di respirare autonomamente», ha detto Maria Alice Donati dell’Ospedale Meyer di Firenze.
«Nella Mps I ci sono stati enormi progressi terapeutici sia sul fronte dei farmaci che nella pratica del trapianto di cellule staminali ematopoietiche. Nel Triveneto grazie al programma di screening abbiamo individuato due bimbi, uno ha avuto il trapianto, ha due anni ed è un bimbo perfettamente normale, l’altro fa la terapia enzimatica sostitutiva e sta altrettanto bene: questi bimbi senza screening ad oggi sarebbero gravemente compromessi e forse ancora alla ricerca di una diagnosi. È evidente che fare lo screening e così avere una presa in carico precoce modifica la storia naturale di queste malattie», ha spiegato Alberto Burlina dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Padova.