Con l’iniziativa #SolounCampione, la Federazione delle Associazioni di Persone con Malattie Rare d’Italia chiede di estendere a tutta Europa l’esperienza italiana dello screening neonatale esteso. Un test alla nascita che può cambiare in meglio il futuro di bambini con gravi malattie genetiche, come testimoniato dalla coppia di genitori che ha scritto a Fondazione Telethon.
In una lettera indirizzata al ministro della Salute Roberto Speranza, la Federazione italiana delle Associazioni di Malattie Rare Uniamo chiede che l’Italia si faccia promotore in Europa di quello che è un vero fiore all’occhiello della nostra sanità pubblica, ovvero lo screening neonatale esteso: un semplice test del sangue eseguito nelle prime ore di vita del bambino che può aiutare a diagnosticare precocemente gravi malattie metaboliche di origine genetica per cui sia disponibile un trattamento in grado di cambiarne la storia naturale e, di conseguenza, offrire un futuro diverso a quel bambino.
«C’è #SolounCampione che salva la vita dei nostri bambini e vogliamo che questo diritto sia garantito in tutta Europa» scrive Uniamo: e per comprendere quanto questo sia vero Fondazione Telethon, oltre a sposare la campagna e invitare tutti a sottoscriverla, condivide la testimonianza di una famiglia alla quale lo screening neonatale ha letteralmente cambiato la vita.
«Facciamo il cesareo subito!». Le parole della ginecologa mi hanno preso letteralmente in contropiede. Ok, dopotutto ero nell’ultimo mese di gravidanza, anche se mancavano ancora 25 giorni; e sì, lo sapevo che quella peste di mia figlia, podalica e incastrata contro il mio bacino, già aveva iniziato a portarsi avanti. Ma di vederla in faccia già quella sera no, non me lo sarei aspettato. Ad ogni modo, non ho nemmeno avuto il tempo di rendermene conto: venti minuti dopo già avevo davanti un esserino paonazzo, urlante e straordinariamente capelluto. I giorni di degenza sono stati una sorta di felicità perfetta: una figlia tanto voluta e arrivata a sorpresa, contro ogni aspettativa, sembrava fare giusto il paio con il Natale caduto proprio il giorno del nostro rientro a casa. Un Natale insolito, così come il Capodanno – con un brindisi alle 19 alla birreria sotto casa, ché se Dio vuole la piccola a mezzanotte dorme, e quindi dormiamo pure noi.
Poi, con l’anno nuovo, la telefonata dall’ospedale: «Signora, dobbiamo ripetere lo screening metabolico alla piccola». Ah già, lo screening. E chi ci pensava più, nella nostra perfetta felicità di neogenitori, da lì purtroppo rotta. Una possibilità offerta - su base volontaria - ai genitori di verificare, tramite un test su poche gocce di sangue, la presenza di alcune patologie. Già, però il sangue si è gelato a me. Ricordo di aver passato il pomeriggio sul divano stringendo mia figlia e temendo le peggiori sciagure, peste bubbonica inclusa.
Il mese seguente è stato segnato da visite in ospedale, analisi e controanalisi, pianti, preghiere che non fosse così, paura di non farcela se così fosse stato, paura che una figlia tanto attesa di lì a poco non ci sarebbe stata più; fino alla diagnosi definitiva: mucopolisaccaridosi di tipo I. La terapia fatta una volta a settimana aiuta ma non risolve: il farmaco non raggiunge tutto il corpo e quindi serve il trapianto di midollo.
Così è iniziato un percorso che ci ha portati ogni settimana per due giorni in un ospedale lontano da casa per la terapia, lo stesso dove poi sarebbe stato fatto il trapianto, nonché la ricerca di un donatore, possibilmente da cordone date le migliori possibilità di successo rispetto a un trapianto da donatore adulto.
Oltre alla competenza professionale dei medici e alla loro grande umanità che ci ha sostenuto come famiglia, ci ha assistiti anche la fortuna - o la Provvidenza, per chi crede: sono infatti stati identificati ben cinque cordoni compatibili. Insomma, ci siamo pure potuti permettere il “lusso di scegliere” e per giunta il cordone scelto presentava una compatibilità così elevata che, a detta dei medici stessi, di rado si vede quando il donatore non è un fratello.
Anche grazie a questo il trapianto e il successivo decorso si sono svolti senza complicazioni di rilievo e gli effetti attesi - ossia la produzione dell’enzima mancante e la drastica decelerazione del progredire della malattia - si sono visti ancor prima di quanto atteso.
Nostra figlia ad oggi conduce una vita sostanzialmente normale, identica a quella degli altri bambini. Come genitori abbiamo la consapevolezza che il trapianto non garantisce effetti così buoni anche sul lungo termine. Non abbiamo però nemmeno perso la speranza che, grazie al fatto di essere intervenuti così presto in virtù dello screening neonatale e dell’esito positivo del trapianto, si possano raggiungere risultati anche migliori di quelli ottenuti in passato, come del resto auspicato dai medici.
Ora il futuro sta nella terapia genica, di cui era partita all’Istituto San Raffaele-Telethon di Milano la sperimentazione (rivolta solo a chi non avesse un donatore compatibile) proprio in contemporanea al trapianto di nostra figlia: se i risultati ad oggi ottenuti verranno confermati, ci sarà una concreta speranza per i bambini nati con questa patologia.
Non possiamo poi non spezzare una lancia nei confronti della sensibilizzazione alla donazione di midollo osseo, e ancor di più del cordone: poco conosciuta in Italia, ma preziosissima sia per scopi terapeutici che di ricerca. È importante che tutte le donne che si accingono a partorire sappiano che, qualora sussistano le condizioni per la donazione, farla significa salvare delle vite – vuoi direttamente con la terapia, vuoi indirettamente con la ricerca.
Teniamo anche a ribadire l’importanza dello screening neonatale. Certo è psicologicamente molto impattante per tutta la famiglia nel caso di identificazione di una malattia, che giocoforza avviene in un momento molto delicato a pochi giorni di vita del bambino; ma, poiché va a ricercare patologie su cui è possibile ed essenziale intervenire tempestivamente, è l’unico mezzo per cambiare radicalmente il futuro di questi bambini.
Come genitori oggi possiamo permetterci di parlarne con una certa serenità e con la gratitudine di chi non sa neppure quante persone deve ringraziare. Ci sono alcune persone chiave che ormai fanno parte della nostra famiglia e fra questi ci sono sicuramente i medici e gli infermieri che ci hanno aiutato facendo bene il loro lavoro in condizioni a volte molto difficili. Non possiamo dimenticare neppure tutti i bimbi e le loro famiglie conosciuti in ospedale.