Sintomi, trasmissione, diagnosi, trattamenti: in occasione della Giornata per la consapevolezza della sindrome X fragile facciamo il punto sulla forma più comune di disabilità intellettiva ereditaria.

Ogni anno il 10 ottobre si celebra la Giornata per la consapevolezza della sindrome X fragile, la forma più comune di disabilità intellettiva ereditaria. Mentre nelle città italiane i monumenti più importanti si colorano di blu, cogliamo quindi l’occasione per ricordare che cos’è questa sindrome di origine genetica su cui Telethon ha investito ad oggi oltre 5,4 milioni in progetti di ricerca scientifica.

Che cos’è la sindrome dell’X fragile? 

La sindrome del cromosoma X fragile è la forma più comune di disabilità intellettiva ereditaria, trasmissibile cioè dai genitori ai figli. È stata descritta per la prima volta nel 1943 dal neurologo James Martin e dalla genetista Julia Bell (motivo per cui è nota anche come sindrome di Martin-Bell), ma è solo negli anni Settanta che ne è stata ipotizzata l’origine ereditaria. Le basi molecolari sono state descritte per la prima volta nel 1991, quando è stata identificato il gene responsabile, FMR1 (Fragile X Mental Retardation 1). Questo gene si trova sul braccio lungo del cromosoma X, in una regione che, a causa della mutazione, può andare incontro a una vera e propria rottura, da cui la definizione “X fragile”.

FMR1 codifica per la proteina FMRP, che ha un ruolo importante in diversi processi neuronali, tra cui la formazione e maturazione delle sinapsi, i contatti tra le cellule nervose: quando il gene è mutato, la proteina non viene prodotta.

Quali sono i sintomi della sindrome dell’X fragile?

I sintomi associati alla sindrome dell’X fragile possono essere di natura cognitiva, comportamentale e fisica. Il quadro clinico può variare notevolmente da un individuo all’altro, sia nella tipologia di sintomi sia nell’intensità. Tra i sintomi di natura cognitiva possono esserci disabilità intellettiva, deficit di apprendimento e comunicazione, ritardo nello sviluppo del linguaggio, difficoltà con abilità motorie fini e grossolane. A livello comportamentale la sindrome può dare iperattività, disturbo dell’attenzione, difficoltà a mantenere il contatto visivo; in alcuni casi possono essere associati tratti tipici dello spettro autistico autistico quali iperattività, avversione al contatto fisico, comportamenti stereotipati. Dal punto di vista fisico, le persone con sindrome dell’X fragile possono presentare alcuni tratti particolari quali viso stretto e allungato, orecchie larghe e sporgenti, fronte e mandibole prominenti, ma anche scarso tono muscolare, iperestensibilità delle giunture, piedi piatti, prolasso della valvola mitrale, ingrossamento dei testicoli (macrorchidismo).

Che differenza c’è tra la sindrome dell’X fragile e l’autismo?

Attualmente più che di autismo si parla di disturbi dello spettro autistico (ASD), a indicare come questa sindrome comportamentale possa presentarsi con grande variabilità da un individuo all’altro, sia in termini di gravità che di manifestazioni. Nella maggior parte dei casi (il 90%) la diagnosi di ASD non è riconducibile ad altre sindromi. Esistono tuttavia delle malattie genetiche dovute ad alterazioni di geni implicati in vario modo nello sviluppo del sistema nervoso centrale che possono presentare anche manifestazioni tipiche dello spettro autistico: tra queste, la sindrome dell’X fragile è quella più frequentemente associata ad ASD (nel 40-60% dei casi).

Come si trasmette la sindrome dell’X fragile? 

La mutazione del gene FMR1 consiste nella ripetizione eccessiva (espansione) di una particolare sequenza di 3 “lettere” del DNA (tripletta CGG). L’espansione di tale tripletta è molto variabile all’interno della popolazione. Negli individui normali il numero di ripetizioni varia da 5 a 45, mentre nelle persone con la sindrome è superiore a 200: questa espansione porta a un cambiamento della condensazione del Dna all’interno della cellula e alla mancata produzione della proteina FMRP. Ci sono poi individui che possiedono un numero intermedio di ripetizioni, una condizione definita “pre-mutazione”; generalmente sani, questi individui possono manifestare talvolta alcuni sintomi quali problemi emotivi e tendenza alla depressione, insufficienza ovarica precoce, atassia e tremori.

La malattia si trasmette e manifesta in modo diverso nei due sessi: i maschi con la mutazione completa sono affetti, mentre solo la metà circa delle femmine con la mutazione completa presenta i sintomi. La pre-mutazione del gene FMR1 è altamente instabile e può trasformarsi nel corso delle generazioni successive in mutazione completa, la cui trasmissione è possibile solo durante lo sviluppo delle cellule uovo. Per questo, i maschi con la pre-mutazione la trasmettono sempre alle figlie femmine senza variazioni (essendo la mutazione legata al solo cromosoma X presente nei maschi), mentre le femmine con la pre-mutazione corrono un rischio maggiore di avere figli affetti, in quanto durante la formazione della cellula uovo potrà avvenire l'espansione della tripletta.

Quanto è diffusa la sindrome dell’X fragile? 

Si stima che la sindrome del cromosoma X fragile colpisca un bambino maschio ogni 2500/5000 e una bambina femmina ogni 4000/8000 soggetti.

Come avviene la diagnosi?

La diagnosi parte dall’osservazione clinica e viene confermata dall’analisi genetica con l'individuazione di mutazioni nel gene FMR1, andando a identificare con estrema accuratezza il numero di triplette ripetute e lo stato di condensazione del Dna a livello del gene FMR1. Tale analisi genetica viene normalmente effettuata successivamente a un prelievo di sangue. Vi è inoltre la possibilità di fare diagnosi prenatale, attraverso amniocentesi o villocentesi, nel caso in cui venga accertata la presenza di pre-mutazione o mutazione completa del gene FMR1 nella madre.

Quali trattamenti esistono per la sindrome dell’X fragile?

Non esiste una terapia risolutiva. Nel corso degli anni, studi preclinici hanno contribuito alla comprensione della fisiopatologia della sindrome: anche la Fondazione Telethon ha fatto la sua parte, finanziando 24 progetti di ricerca per un totale di oltre 5,4 milioni di euro investiti. Alla luce dell’elevata complessità e dell'eterogeneità del quadro clinico delle persone con questa sindrome, la comunità scientifica è sempre più orientata allo sviluppo di terapie personalizzate. Al momento, tramite un approccio multidisciplinare, è possibile il trattamento dei sintomi per migliorare la qualità della vita dei pazienti e permettere la gestione autonoma della vita quotidiana, combinando l’impiego di farmaci a terapie di supporto come la terapia del linguaggio o terapie psico-comportamentali e sostegno scolastico.

Esiste un’associazione di riferimento per la sindrome?

In Italia è l’Associazione Italia Sindrome X Fragile, nata nel 1993 e membro delle Associazioni in rete (AIR) di Telethon. Come spiega la presidente Alessia Brunetti, «quando si parla di sindrome X Fragile, non si deve avere in mente una singola persona con questa malattia rara che causa autismo e disabilità intellettiva, ma un intero sistema familiare: infatti l'ereditarietà della sindrome fa sì che si manifesti in più individui nello stesso nucleo familiare, con un impatto notevole sulla qualità della vita. Ma non solo: è stato chiarito che i portatori di pre-mutazione hanno anche loro rischi importanti di salute. Insomma, le nostre esistenze sono certamente complesse e sfidanti e la ricerca rimane il faro a cui le nostre famiglie guardano con speranza».

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