Alla scoperta dei meccanismi genetici dell’invecchiamento

Intervista a Samuele Ferrari, che si è appena aggiudicato un prestigioso finanziamento europeo per studiare una rara sindrome genetica che colpisce le cellule staminali del sangue.

Samuele Ferrari, ricercatore dell'Istituto San Raffaele Telethon

Una sindrome nuova e misteriosa che potrebbe aiutarci a fare luce sui meccanismi con cui il nostro organismo invecchia: sono questi gli ingredienti del progetto di ricerca con cui Samuele Ferrari, giovane ricercatore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica di Milano, si è aggiudicato un importante finanziamento dallo European Research Council (ERC) del valore di 1,5 milioni di euro

«La sindrome in questione, descritta per la prima volta soltanto pochi anni fa, si chiama VEXAS e si manifesta in età avanzata con febbre, infiammazione a carico di diversi organi e molti altri sintomi gravi che possono portare alla morte anche nel giro di pochi anni» spiega Samuele Ferrari.

«Le cause sono ancora in gran parte sconosciute, ma sappiamo che il fattore scatenante è il difetto in uno specifico gene localizzato sul cromosoma X che codifica per una proteina che attiva l’ubiquitina - spiega Ferrari-. Come suggerisce il nome stesso, l’ubiquitina è una proteina con tanti ruoli, ma quello principale è promuovere la degradazione delle proteine che devono essere eliminate all’interno delle cellule. Nel caso della sindrome VEXAS, l’alterazione di questo processo, causata dalla mutazione spontanea del gene che attiva l’ubiquitina, fa sì che a un certo punto della vita alcune cellule staminali ematopoietiche presenti nel midollo osseo inizino a moltiplicarsi a discapito delle altre, per motivi ancora ignoti. Questo squilibrio, definito “ematopoiesi clonale”, si verifica naturalmente con l’avanzare dell’età e può contribuire allo sviluppo di diverse malattie, tra cui il cancro e l’infiammazione cronica, condizioni che spesso si associano all’invecchiamento. Studiare questo processo potrebbe quindi aiutarci non solo a fare luce sulla sindrome VEXAS, ma anche a scoprire nuovi meccanismi su cui agire per migliorare la salute nella popolazione anziana». 

Grazie a questo importante finanziamento europeo, della durata di cinque anni, Samuele Ferrari proverà a costruire un vero e proprio identikit della sindrome VEXAS, che al momento si stima colpisca circa un maschio over 50 su 4 mila.

«È possibile che con il passare del tempo e l’aumento delle conoscenze questa sindrome venga riconosciuta di più e si riveli anche più frequente – spiega il ricercatore -. Noi vorremmo capire meglio come e quando la mutazione genetica responsabile porti alcune cellule staminali del sangue a moltiplicarsi più del dovuto e a danneggiare il sistema ematopoietico. Analizzeremo cellule di pazienti ottenute da campioni di sangue e ne studieremo l’assetto genetico e il comportamento per capire come le cellule mutate crescono e si riproducono nel tempo. Inoltre, creeremo dei modelli sperimentali introducendo le stesse mutazioni riscontrate nei pazienti all’interno di cellule staminali ematopoietiche umane, grazie all’ultima versione delle “forbici molecolari” che consentono di ingegnerizzare il DNA. Osservando queste cellule cercheremo di capire meglio come crescono e provocano infiammazione».  

Classe 1993, Samuele Ferrari è sempre stato affascinato dalla terapia genica: laureato in Biotecnologie all’Università Vita Salute San Raffaele di Milano, è entrato nel laboratorio del direttore dell’SR-Tiget Luigi Naldini già per svolgere la tesi di laurea e da allora non se n’è più andato. Ha svolto lì il dottorato di ricerca ed è successivamente diventato project leader, sempre con l’obiettivo di utilizzare le tecniche più all’avanguardia di ingegnerizzazione del DNA per la cura di malattie genetiche. Non fa eccezione il progetto appena finanziato dalla comunità europea: tra gli obiettivi più a lungo termine c’è anche infatti quello di valutare se in futuro si possa prevenire o alleviare i sintomi della sindrome VEXAS grazie alla correzione delle mutazioni nel DNA.  

«Lavorare all’SR-Tiget è un’opportunità rara, perché ti permette di toccare con mano l’impatto dei tuoi esperimenti in laboratorio sulle persone, che spesso sono bambini con malattie rare e gravissime» commenta Samuele Ferrari, che ha saputo di aver vinto il finanziamento mentre si trovava negli Stati Uniti, per un breve periodo di perfezionamento su una tecnica necessaria proprio per gli obiettivi di questo progetto.

«È un Istituto che si trova in un ospedale molto improntato alla ricerca come il San Raffaele e supportato da un’organizzazione importante come la Fondazione Telethon: cosa volere di più? Sono convinto che il riconoscimento internazionale dell’SR-Tiget sia stato un ottimo biglietto da visita per chi ha valutato il progetto. Da parte mia, era la prima volta che provavo a chiedere questo tipo di finanziamento, ho cercato di coniugare novità e fattibilità, trovando il giusto equilibrio tra curiosità scientifica e ricadute per la salute umana. Adesso - conclude - non resta che rimboccarsi le maniche!». 

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