Prima si comincia, meglio è: questo il messaggio lanciato dai ricercatori sulle pagine della rivista The Lancet* dopo due anni di sperimentazione della terapia genica per l’amaurosi congenita di Leber, la più frequente causa di cecità infantile ereditaria. Nessuno dei dodici pazienti trattati finora ha sviluppato effetti tossici e in ciascuno di loro si è riscontrato un parziale recupero delle capacità visive, soprattutto in quelli più piccoli.
Cominciato nel 2007, questo studio clinico internazionale ha visto la partecipazione attiva del Children’s Hospital di Philadelphia, dell’Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem) di Napoli e, sempre nel capoluogo partenopeo, del dipartimento di Oftalmologia della Seconda università degli studi (Sun).
Sono due anni che i ricercatori stanno valutando la sicurezza e l’efficacia della terapia genica per curare questa grave malattia della retina, che colpisce nei primi anni di vita e porta progressivamente alla perdita della vista. Grazie al lavoro dei ricercatori del Tigem – Alberto Auricchio, Enrico Maria Surace e Sandro Banfi – è stata messa in piedi una vera e propria “strategia molecolare” per correggere il difetto dei geni che causano malattie oculari come RPE65, uno dei responsabili dell’amaurosi di Leber.
Il team clinico del dipartimento di Oftalmologia guidato da Francesca Simonelli, di cui fanno parte Francesco Testa e Settimio Rossi, ha invece individuato i pazienti idonei su cui iniziare a sperimentare questa innovativa terapia e ha effettuato un continuo monitoraggio clinico per valutare la sicurezza e l’efficacia del trattamento. Ad oggi sono stati trattati con la terapia genica dodici pazienti, di cui ben cinque sono italiani. Per tutti l’intervento chirurgico si è svolto a Philadelphia, sotto la direzione di Jean Bennett, ed è consistito nell’iniezione nello spazio sottoretinico dell’occhio di un particolare virus reso innocuo e contenente la versione corretta del gene.
Come risulta dagli esami effettuati con regolarità a seguito dell’intervento, nessuno dei pazienti ha riportato finora effetti tossici significativi, a conferma di come la procedura sia sicura. Al contempo, i test di funzionalità visiva indicano chiaramente che in tutti c’è stato un recupero parziale della vista, soprattutto nei pazienti più giovani. «Questo», spiega Francesca Simonelli, «è il risultato più importante: più la terapia genica è intrapresa precocemente, più alte sono le probabilità che la retina dei pazienti non sia del tutto compromessa e reagisca positivamente alla cura».
Un’indicazione importante per il futuro, come sottolinea Alberto Auricchio: «abbiamo intenzione di provare a testare l’efficacia della terapia genica non solo per le altre forme di amaurosi, ma anche per altre malattie genetiche oculari come per esempio la malattia di Stargardt, per la quale il Tigem ha già ottenuto la designazione di farmaco orfano dalla Food and Drug Administration americana e dalla European Medicines Agency. L’occhio è certamente un organo ideale per questo tipo di terapia, perché è piccolo, circoscritto e “immunoprivilegiato”, il che rende possibile la somministrazione di bassi dosi di farmaco e riduce notevolmente il rischio di rigetto da parte del sistema immunitario».
* AM Maguire et al, “Age-dependent effects of RPE65 gene therapy for Leber congenital amaurosis: a phase 1 dose-escalation trial”. The Lancet, 2009.