All’Istituto Telethon di Pozzuoli, Paolo Grumati e il suo team studiano questa rara malattia genetica di cui si è appena celebrata per la prima volta la giornata mondiale.
È l’unico carburante in grado di raggiungere le cellule del nostro cervello, superando la barriera naturale che le protegge: è il glucosio, zucchero semplice diffusissimo in natura che rappresenta la principale fonte di energia per le cellule, animali o vegetali che siano.
Ci sono persone, però, che a causa di una rara mutazione genetica non sono in grado di utilizzarlo: è il caso di chi soffre della sindrome da deficit di GLUT1, di cui sabato 10 luglio si è celebrata per la prima volta la giornata mondiale. Alla base c’è un difetto in una proteina, chiamata appunto GLUT1, deputata al trasporto del glucosio dal sangue al cervello: se non si interviene le conseguenze sull’organo possono essere molto gravi, da difficoltà cognitive e motorie a epilessia farmaco-resistente.
Ad oggi non esiste una cura specifica e l’unico modo per fornire al cervello una fonte di energia alternativa al glucosio e proteggerlo da questi potenziali danni è rappresentato dalla dieta chetogenica: un trattamento indubbiamente salvavita ma non risolutivo, oltre che estremamente faticoso da seguire per i pazienti e le loro famiglie. Per questo è fondamentale che la ricerca scientifica vada avanti, per provare a trovare alternative più efficaci e mirate.
All’Istituto Telethon di genetica e medicina di Pozzuoli, Paolo Grumati ha da poco avviato un progetto focalizzato proprio su una migliore comprensione delle basi molecolari di questa sindrome, ancora poco conosciute. «Ci siamo chiesti - spiega il ricercatore - se esista un modo per far sì che una maggior quantità di proteina GLUT1 raggiunga la superficie dei neuroni e consenta un maggior afflusso di glucosio al cervello. Indipendentemente dal difetto genetico responsabile, tutti i pazienti hanno una certa quota di GLUT1 che funziona, solo che non è sufficiente. Anzi, la gravità dei sintomi dipende proprio da quanta attività residua della proteina è presente, variabile a seconda della specifica mutazione. Proveremo quindi a capire se potenziare il trasporto della proteina dall’interno della cellula verso la membrana cellulare possa rappresentare una strategia terapeutica. Nelle nostre cellule esiste infatti una vera e propria rete di trasporto che collega i vari compartimenti cellulari e smista le molecole più disparate: alcune sono destinate a essere degradate, altre a essere portate altrove, ad esempio in superficie, per svolgere la propria funzione. È un sistema che al Tigem studiamo da tanto tempo e da diversi punti di vista perché coinvolto in numerose patologie e che possiamo provare a modulare somministrando specifiche sostanze».
Grazie a un primo finanziamento del valore di 50 mila euro Grumati e il suo team hanno costruito un vero e proprio sistema cellulare per studiare come la proteina GLUT1 si muove in base alla presenza di glucosio, lungo quelli che possiamo immaginare come veri e propri binari. «Studieremo questo processo grazie anche alle nostre competenze pregresse sui meccanismi di trasporto interni alla cellula, in particolare quelli che mediano il processo dell’autofagia, ovvero lo smaltimento delle sostanze di scarto. Abbiamo ipotizzato che alcune proteine coinvolte in questo processo possano contribuire anche al trasporto del GLUT1: se così fosse potrebbero rappresentare un potenziale bersaglio farmacologico da testare anche in modelli di malattia più complessi, come per esempio quelli animali. Di fronte a una patologia priva di cura, è fondamentale trovare un bersaglio su cui agire: la ricerca di base serve a questo, con la speranza che qualcun altro magari trovi l’idea promettente e la sviluppi. Se ci pensiamo è quanto è avvenuto, per quanto su scala diversa, anche nel caso del Covid-19: quando la pandemia è esplosa conoscevamo molto poco del virus responsabile, procedevamo a tentoni cercando di curare i sintomi di questa polmonite, che però non era come quelle che conoscevamo fino a quel momento e rispondeva poco e male ai trattamenti disponibili. È grazie alla ricerca di base sul virus SARS-CoV-2 che abbiamo trovato il bersaglio giusto su cui agire e che abbiamo potuto sviluppare rapidamente e su larga scala vaccini efficaci, in particolare quelli a mRNA, che hanno contribuito a migliorare significativamente la crisi pandemica. Ecco, nel nostro piccolo speriamo di fornire un tassello di conoscenza in più su questa rara sindrome e magari suggerire una strategia alternativa per affrontarla».