Il finanziamento è andato a Gianni Russo dell’Ospedale San Raffaele di Milano per un progetto che prende le mosse dalla terapia standard con glucocorticoidi di pazienti con iperplasia surrenalica congenita.
Negli ultimi mesi abbiamo sentito molto parlare di ricerca su potenziali vaccini contro il nuovo coronavirus Sars-CoV-2, ma è molto attiva anche la ricerca sui farmaci. Per esempio tra i vari fronti si sta lavorando su farmaci sintomatici in grado di agire sui danni provocati dal virus nell’organismo: tra questi i glucocorticoidi, appartenenti alla classe più generale dei cortisonici, e in particolare il desametasone, attualmente impiegato nella terapia di pazienti critici per la sua attività di soppressione del sistema immunitario.
I glucocorticoidi, però, sono ampiamente utilizzati anche per la terapia dell’iperplasia surrenalica congenita, una malattia genetica caratterizzata da produzione insufficiente o assente dei due più importanti ormoni derivati dal colesterolo (cortisolo e aldosterone), accoppiata nella sua forma più classica a un eccessiva produzione di androgeni. Se non riconosciuta, nelle forme più gravi questa malattia può portare al decesso; inoltre nelle femmine può comportare fin dalla nascita ambiguità nei genitali esterni, mentre nei maschi, nelle forme meno gravi, può manifestarsi nell’infanzia con una maggiore velocità di crescita e pubertà precoce.
«Proprio per la carenza di cortisolo, questi pazienti hanno bisogno di una terapia cronica sostitutiva con glucocorticoidi, che per riuscire a sopprimere l’eccessiva produzione di androgeni devono essere somministrati in dosi leggermente sovrafisiologiche, cioè più di quanto sarebbero prodotti naturalmente». A spiegarlo è il pediatra endocrinologo Gianni Russo, responsabile dell’ambulatorio di endocrinologia pediatrica dell’Ospedale San Raffaele di Milano, che alle prime notizie dell’uso di desametasone in pazienti con Covid-19 non ha potuto non chiedersi che effetti abbiano i glucocorticoidi impiegati nei “suoi” pazienti, quelli con iperplasia surrenalica congenita, in caso di infezione da parte di Sars-CoV-2.
Da questa curiosità scientifica e dal desiderio di Russo di verificare se davvero, come suggeriscono i risultati di alcuni studi tuttavia limitati, i pazienti con questa rara malattia genetica sono più suscettibili alle infezioni, è nato un progetto di ricerca risultato tra i vincitori del Bando che Fondazione Telethon ha dedicato a studi in grado di utilizzare le malattie genetiche rare per approfondire le conoscenze sul SARS-CoV-2.
Primo passo del progetto sarà valutare in un gruppo di pazienti con iperplasia surrenalica congenita seguiti all’Ospedale San Raffaele (centro di riferimento regionale per la malattia) il tasso di infezione pregressa da parte di Sars-CoV-2. Per farlo basterà un semplice test sierologico che permetterà di individuare chi è venuto in contatto con il virus (sulla base del tasso di infezione nella popolazione generale lombarda, Russo stima circa il 10% dei pazienti del campione) e chi no. I pazienti che sono stati infettati saranno confrontati con persone a loro vicino (soprattutto conviventi) che non hanno l’iperplasia e che a loro volta sono entrate in contatto con il virus. «Il confronto - spiega Russo - riguarderà sia aspetti immunitari sia il decorso clinico del Covid-19 in caso di malattia».
Da un lato, questa analisi permetterà di capire se i pazienti con iperplasia surrenalica congenita si sono ammalati più o meno spesso di Covid-19 rispetto ai controlli senza la malattia genetica e sono dunque veramente più fragili dal punto di vista immunitario. «Sulla base di questa informazione si potrà stabilire se questi pazienti hanno bisogno di raccomandazioni particolari per la prevenzione del Covid-19, oltre a quelle normalmente fornite» sottolinea il medico ricercatore. Dall’altro lato, l’analisi permetterà di descrivere il decorso del Covid-19 in pazienti con iperplasia surrenalica congenita. «Poiché sono sottoposti a un trattamento cronico con glucocorticoidi, potremmo trovare che vanno incontro a meno complicazioni, per esempio in termini di gravità dei sintomi o durata dell’infezione. Se fosse davvero così, si potrebbe ipotizzare per chi è colpito da Covid-19 un trattamento più precoce con glucorticoidi». Sarebbe un’evidente ricaduta per la popolazione generale di informazioni ottenute partendo dallo studio di una malattia genetica rara.