Grazie al contributo di Telethon oggi si conosce meglio come le proteine, i “meccanici” della cellula, riparano i guasti della “macchina”, il Dna, e come interagiscono con le “sentinelle” che ne controllano l’integrità.
La ricerca è stata pubblicata su EMBO Journal* e viene dal laboratorio di Marco Muzi-Falconi e Paolo Plevani del Dipartimento di Scienze Biomolecolari e Biotecnologie dell’Università degli Studi di Milano, dove i ricercatori studiano i meccanismi molecolari alla base di malattie genetiche dovute a difetti di riparazione del Dna. Al lavoro ha collaborato anche Maria Pia Longhese, titolare di un progetto Telethon presso il Dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze dell’Università di Milano Bicocca, su altre proteine coinvolte nella risposta cellulare di riparazione di lesioni al Dna.
Normalmente una cellula sana è in grado di aggiustare i continui e quotidiani danni al Dna provocati da fattori come raggi solari, sostanze chimiche presenti nella dieta e nell’ambiente, e perfino il metabolismo cellulare, grazie ad alcune proteine e a punti di controllo - le sentinelle - chiamati appunto “checkpoint”. Insieme tali sistemi, come in un’“officina di riparazione”, sorvegliano l’integrità del genoma, riconoscono le lesioni e attivano sistemi di riparazione, tentando di limitare e neutralizzare i danni al DNA.
Ci sono situazioni, però, in cui le “officine di riparazione” del Dna non funzionano in modo corretto e le lesioni restano. Nel caso di alcune malattie genetiche rare, come lo xeroderma pigmentosum, la sindrome di Cockayne e la tricotiodistrofia, scarseggiano i meccanici. Il difetto genetico alla base delle tre malattie risiede nel cosiddetto NER - per Nucleotide Excision Repair - uno dei sistemi di controllo dell’integrità del DNA e di correzione del danno da raggi UV. Si tratta di un gruppo di proteine nel nucleo della cellula, che, munite di forbici, ago e filo, riconosce la lesione, taglia la zona colpita e la sostituisce con la sequenza corretta di DNA.
Se invece sono le sentinelle a mancare, ne consegue l’atassia telangiectasia, caratterizzata da perdita di coordinazione dei movimenti (atassia), degenerazione del cervelletto, difetti immunitari e predisposizione a sviluppo di tumori.
Grazie alla genetica applicata alle cellule di lievito, l’organismo modello che, oltre a far lievitare il pane e fermentare la birra, riproduce quanto succede nella cellula umana, i ricercatori hanno stabilito come le proteine NER interagiscono con le “sentinelle” dei checkpoint.
Il gruppo di ricerca dell’Università di Milano ha anche dimostrato che il difetto genetico alla base dello xeroderma pigmentosum, oltre ad annullare la riparazione del DNA, impedisce alla cellula di attivare i checkpoint in presenza di danni al DNA causati dai raggi ultravioletti (UV) della luce del sole. Per questo i bambini affetti vanno incontro a lesioni e gravi tumori alla pelle e ad altri organi e sono anche chiamati i “bambini della luna” perché possono uscire solo al calar della sera, quando i raggi del sole sono meno pericolosi.
Al contrario, alterazioni nei geni che determinano l’insorgenza della sindrome di Cockayne, consentono una normale attivazione dei checkpoint e la malattia si “limita” a fenomeni d’invecchiamento precoce e sensibilità ai raggi del sole senza, di solito, lo sviluppo di tumori. Queste osservazioni potrebbero spiegare la diversa predisposizione all’insorgenza di tumori osservata nelle due malattie. La tricotiodistrofia è dovuta alla carenza di proteine ricche di zolfo, e associa al particolare aspetto dei capelli (tricotiodistrofia) sensibilità alla luce, ritardo mentale, bassa fertilità e nanismo.
Commenta Muzi-Falconi: “Il passo successivo sarà quello di estendere e verificare queste osservazioni alle cellule umane, caratterizzando i difetti molecolari di cellule di pazienti con malattie genetiche in cui mancano appunto i meccanici capaci di riparare i danni al Dna. Questo permetterà di conoscere le basi molecolari e la diversa predisposizione all’insorgenza dei tumori delle sindromi genetiche citate”.
*Giannattasio M et al., EMBO J 2004