Si lavora alla messa a punto di nuove terapie mirate partendo da un patrimonio di conoscenze che è stato acquisito anche sul campo delle malattie genetiche rare.
Tra le armi a cui la scienza ricorre per contrastare le malattie infettive, una delle più importanti è lo studio dell’immunologia. Il sistema immunitario è infatti la prima difesa che il nostro organismo mette in campo, spesso in modo efficace, per neutralizzare gli agenti responsabili di infezioni, tra cui i virus. E solo comprendendo molto bene come funziona la risposta immunitaria si possono sviluppare strategie di prevenzione e di cura per le malattie infettive, ovvero vaccini e farmaci che servono quando l’organismo ha bisogno di essere aiutato perché da solo non riesce a difendersi in modo adeguato.
Nel corso di questi mesi abbiamo visto che, se la maggior parte delle persone entra in contatto con il nuovo coronavirus sviluppando una sintomatologia abbastanza blanda o assente, in alcuni soggetti più fragili - per età o per una serie di altri fattori che ne indeboliscono l’organismo - il virus prevale con conseguenze gravi. E in molte delle persone colpite è proprio un’eccessiva infiammazione, scatenata dal corpo per difendersi dal virus, e quindi strettamente correlata alla risposta immunitaria, a creare danni importanti a molti organi.
Fin dall’inizio dell’emergenza Covid-19, scienziati e medici hanno cercato di mettere in campo tutte le conoscenze acquisite finora in ambito immunologico per applicarle, nell’immediato, alla gestione dei malati con i farmaci già a disposizione e, in prospettiva, allo sviluppo di strategie farmacologiche innovative e specifiche per Covid-19.
È così che, per esempio, sono state improntate in emergenza terapie con farmaci che intervengono in diversi punti di quella cascata - chiamata “tempesta di citochine” - attraverso cui il sistema immunitario scatena una reazione infiammatoria incontrollata indirizzata contro il virus ma, in definitiva, molto dannosa per l’organismo. I protocolli che hanno dato risultati promettenti sono adesso oggetto di studi clinici su ampi gruppi di pazienti per verificarne la solidità statistica dei dati di sicurezza ed efficacia. Intanto si lavora alla messa a punto di nuove terapie mirate per Covid-19 partendo da un patrimonio di conoscenze che è stato acquisito anche sul campo delle malattie genetiche rare.
Spunti molto interessanti stanno arrivando dai laboratori che si occupano di terapie sostitutive, cioè quelle cure realizzate dando ai pazienti, sotto forma di farmaco, le sostanze a loro mancanti per via del difetto genetico: in quest’ambito, un filone che potrebbe fornire un contributo utile alla ricerca Covid riguarda la terapia sostitutiva per le persone emofiliche.
I pazienti con emofilia A non producono il fattore VIII, che è fondamentale per la coagulazione del sangue e lo ricevono quindi come farmaco. Alcuni di loro, però, riconoscono il fattore VIII come “estraneo” e attivano una risposta immunitaria molto efficace per eliminarlo. In pratica, il loro organismo è molto bravo nella produzione di anticorpi neutralizzanti contro il farmaco che quindi non ha effetto. Ed è proprio sui meccanismi alla base di questa energica produzione di anticorpi neutralizzanti che si sono concentrati gli studi di ricercatori come Francesca Fallarino che, con il contributo di Fondazione Telethon, cerca di mettere a punto una terapia sostitutiva efficace anche per questi pazienti. Ora tutte le informazioni da loro acquisite, inclusa la capacità tecnologica di isolare e caratterizzare gli anticorpi neutralizzanti, possono essere molto utili per sviluppare strategie che aiutino l’organismo a difendersi da Sars-CoV-2.
Un altro esempio di come le conoscenze acquisite dalla ricerca possano essere ora utilizzate “al contrario” nella lotta a Covid-19 arriva dalla terapia genica. Lo studio approfondito dell’immunologia è infatti fondamentale anche per la messa a punto di protocolli di terapia genica efficienti, perché questa strategia di cura sfrutta, a fin di bene, gli stessi meccanismi che i virus utilizzano per invadere la cellula e istruirla a produrre sostanze che per l’organismo sono nuove. Dunque il rischio che si corre è che i pazienti sottoposti alla terapia genica sviluppino una risposta immunitaria verso componenti dei virus usati per veicolare nella cellula il gene sano o verso il prodotto terapeutico, cioè la sostanza che era carente a causa della malattia. I ricercatori Telethon coinvolti in attività di ricerca relativi a progetti di terapia genica studiano da tempo come aggirare queste risposte immunitarie che rischiano di compromettere l’efficacia della terapia.
E tutte queste conoscenze oggi risultano essere fondamentali se utilizzate al “contrario”. Per esempio per spingere il sistema immunitario a mettere in atto gli stessi meccanismi anti-virali che sono così dettagliatamente studiati nei soggetti con malattie genetiche sottoposti a protocolli di terapia genica.
Ancora una volta le malattie genetiche rare si rivelano un banco di prova utile per la lotta a malattie più comuni.