Dagli studi sulle malattie genetiche rare, un aiuto per sconfiggere Sars-CoV-2. Scopriamo come.
«Le conoscenze ottenute dalla ricerca scientifica sono un patrimonio universale: anche quelle che vengono da studi focalizzati su ambiti in apparenza circoscritti, come può essere quello delle malattie genetiche rare, possono rivelarsi fondamentali per ambiti più ampi e in apparenza distanti». La responsabile della ricerca di Fondazione Telethon, Manuela Battaglia, riassume così il senso del bando che la Fondazione ha dedicato all’utilizzo delle malattie genetiche rare come “lente di ingrandimento” per la comprensione di aspetti ancora poco noti dell’infezione da parte di Sars-CoV-2, il virus responsabile della pandemia di Covid-19 che ha investito il mondo intero, rendendo ancora più fragili le persone che vivono con una malattia genetica rara.
«La nostra priorità è e rimane quella di assicurare continuità alla ricerca su queste malattie ma di fronte a un’emergenza che ha travolto l’umanità abbiamo ritenuto opportuno stimolare la comunità scientifica italiana a interrogarsi su come utilizzare le conoscenze acquisite negli anni sulle malattie genetiche rare per migliorare la comprensione del Covid-19». Da qui l’idea di un bando specifico che ha portato al finanziamento di quattro progetti di ricerca.
Associare malattie genetiche rare a Covid-19 può sembrare singolare, ma Battaglia spiega che «per la loro complessità, le malattie genetiche rare portano a indagare meccanismi biologici fondamentali per il funzionamento delle nostre cellule e del nostro organismo». Questo significa che studiarle non è utile solo per dare risposte ai pazienti, ma anche per ottenere conoscenze importanti per malattie più diffuse.
L’immunità innata
Dalla sindrome di Aicardi-Goutières alle difese immunitarie contro il Sars-CoV-2. È il progetto della virologa Anna Kajaste-Rudnitski, che all’SR-Tiget di Milano guida un gruppo di ricerca sulle interazioni tra i vettori virali utilizzati per la terapia genica e i meccanismi dell’immunità innata, la prima linea di difesa dell’organismo contro virus e batteri. Non solo: Kajaste-Rudnitski studia anche alcuni geni coinvolti nella sindrome di Acardi-Goutières, una rara malattia genetica caratterizzata da ritardo psicomotorio ed epilessia, oltre che da un’attivazione anormale e incontrollata della risposta immunitaria innata nel sistema nervoso centrale. Poiché l’immunità innata riveste un ruolo importante anche nel decorso del Covid-19, la ricercatrice intende indagare, “in vitro” su linee cellulari, l’impatto delle mutazioni dei geni coinvolti nella sindrome sull’infezione da Sars-CoV-2.
Una "barriera" per Sars-Cov-2
Grazie alla malattia di Niemann-Pick di tipo C potremmo comprendere i meccanismi cellulari che Sars-CoV-2 sfrutta per entrare nelle cellule bersaglio. In passato alcuni studi hanno mostrato che alterazioni nella proteina NPC1, responsabili di questa rara malattia genetica da accumulo di lipidi, rendono le cellule più resistenti all’ingresso e alla propagazione di virus come Ebola e Hiv ma anche dei virus responsabili di Sars e Mers, parenti stretti del coronavirus che provoca il Covid-19. Questo trova probabilmente giustificazione nel fatto che la proteina è fondamentale per l’integrità della membrana cellulare, la “barriera” che il virus deve aggirare per entrare nella cellula. Il progetto di ricerca di Maria Teresa Fiorenza, dell’Università di Roma Sapienza, si focalizza sul confronto tra le alterazioni generali tipiche delle cellule che hanno una proteina NPC1 alterata e i meccanismi sfruttati da Sars-CoV-2 per entrare nelle cellule dell’epitelio respiratorio umano. Questo permetterà di capire se alterazioni di NPC1 sono protettive anche nei confronti del coronavirus e, in caso, di individuare nuovi possibili bersagli terapeutici.
Stop alla moltiplicazione del virus
Da una rarissima malattia genetica dello scheletro, la disostosi acro-fronto-facio-nasale di tipo 1 (AFFND), potremmo invece riconoscere i meccanismi cellulari che Sars-CoV-2 potrebbe sfruttare per moltiplicarsi nelle cellule bersaglio. La sindrome e il nuovo coronavirus hanno infatti alcuni punti di contatto, che sono al centro del progetto di Cristina Sobacchi del Cnr e dell’Humanitas Research Hospital di Milano. «Da un lato - spiega - è stata osservata maggior suscettibilità dei pazienti con la sindrome a polmoniti virali e dall’altro c’è il fatto che Sars-CoV-2 sembra interagire con molecole coinvolte in due processi chiave per le normali funzioni delle cellule, ai quali prende parte anche la proteina codificata da un gene (NBAS) mutato in alcuni pazienti con la disostosi». L’ipotesi è che attraverso queste interazioni il virus riesca a volgere a proprio favore questi processi per moltiplicarsi nelle cellule ospiti.
Il ruolo del cortisone
Dall’iperplasia surrenalica congenita potremmo conoscere l’effetto dei cortisonici contro SarsCoV-2. Il desametasone è un farmaco cortisonico impiegato per la terapia dei pazienti con Covid-19 con sintomi critici. I glucocorticoidi, però, sono anche utilizzati per la terapia ormonale sostituiva per pazienti con iperplasia surrenalica congenita, una rara malattia genetica caratterizzata da produzione insufficiente dei due principali ormoni derivati dal colesterolo, spesso associata a un eccesso nella produzione di androgeni. Per Gianni Russo, pediatra endocrinologo dell’Ospedale San Raffaele di Milano, è stato inevitabile chiedersi che effetti abbia la terapia cronica con glucocorticoidi nei pazienti con iperplasia surrenalica congenita eventualmente colpiti da Covid-19. Il suo progetto di ricerca prevede di confrontare dati immunitari e clinici di due gruppi di persone: pazienti con la malattia genetica entrati in contatto con il Sars-CoV-2 e persone vicine ai pazienti (per esempio conviventi) ma non affette dalla malattia genetica, a loro volta entrate in contatto con il virus. Questo permetterà di scoprire se il trattamento cronico con glucocorticoidi può migliorare il decorso di un’eventuale infezione.
Il contributo di Tigem
Negli anni i ricercatori dell’Istituto Telethon di genetica e medicina di Pozzuoli hanno acquisito solide competenze che ora possono essere messe al servizio dell’emergenza sanitaria Covid-19. Come ricorda il direttore del Tigem, Andrea Ballabio, «nuove idee su come sconfiggere il coronavirus Sars-CoV-2 possono partire solo da uno sforzo comune fatto da ricercatori con esperienze diverse, che possono “aggredire” il problema partendo da angoli diversi». Ecco allora che grazie a due importanti progetti di ricerca finanziati da Regione Campania e dal Ministero della Salute, i ricercatori del Tigem hanno potuto quindi mettere in campo contro Sars-CoV-2 tutta la loro esperienza sulle tecnologie di sequenziamento del Dna di nuova generazione, sulle tecniche di coltura e analisi cellulare e sulla terapia genica.