Una delle possibili soluzioni sfrutta la piattaforma tecnologica della terapia genica a cui hanno contribuito i ricercatori di Fondazione Telethon.
È di pochi giorni fa la notizia che molti Paesi, inclusa l’Italia, hanno risposto all’appello lanciato dall’Unione Europea che ha portato alla raccolta di 7,4 miliardi di euro per la sfida chiamata “World against Covid 19” in cui il sostegno allo sviluppo e alla produzione di un vaccino è un elemento centrale, insieme alla ottimizzazione degli strumenti diagnostici e terapeutici.
Se, infatti, diagnosi e terapia sono le armi da affilare per superare l’epidemia e tenere sotto controllo Covid-19 come si fa per le malattie endemiche, solo grazie a un vaccino efficace e distribuito a tutti coloro che ne hanno bisogno riusciremo a eradicare questo nuovo virus, come è stato fatto per altri agenti patogeni che hanno causato gravi danni nel passato. A questo obiettivo stanno lavorando anche molte industrie farmaceutiche, che in diversi casi si sono alleate con laboratori che operano presso università e ospedali di tutto il mondo.
L’Organizzazione mondiale della sanità tiene traccia di tutte queste ricerche in una specie di censimento chiamato “panorama dei candidati vaccini”. Al 5 maggio questa lista annoverava 100 progetti in una fase della ricerca che chiamiamo “pre-clinica”, e che riguarda essenzialmente la verifica della validità del vaccino in un modello animale, e ben 8 già in fase di sperimentazione clinica, vale a dire in fase di test su volontari sani. Tante ricerche che mettono in campo strategie diverse per centrare l’obiettivo.
Per dirla in modo semplice, effettuare una vaccinazione equivale a ingannare, a fin di bene, il nostro organismo facendogli credere di essere entrato in contatto con un agente patogeno - in questo caso il virus SARS-CoV-2 - e inducendolo così a produrre gli anticorpi necessari a neutralizzarlo. In pratica, il vaccino prepara l’organismo a difendersi da eventuali attacchi da parte del “vero” nemico. Per fare questo si possono utilizzare dei virus attenuati, ossia resi inattivi e quindi incapaci di replicarsi e invadere l’organismo, che servono solo a scatenare la risposta immunitaria. Oppure si possono fornire all’organismo solo dei “pezzetti” del virus sempre allo scopo di indurlo a produrre le armi necessarie per difendersi e metterle via per eventuali infezioni future.
E uno stratagemma ancora più astuto consiste nell’istruire il nostro organismo a produrre lui stesso una proteina uguale a una delle proteine che stanno sulla superficie del virus e attivare così le proprie difese immunitarie: strategia che oggi è possibile realizzare grazie a quello che abbiamo imparato negli ultimi decenni dallo sviluppo della terapia genica per le malattie genetiche rare.
Infatti, la terapia genica permette di istruire l’organismo a sintetizzare delle proteine che sostituiscono o compensano quelle che sono mancanti o difettose nelle cellule malate e lo fa inserendo nel codice genetico del paziente un gene, cioè un’istruzione, che prima non era presente. Per inserire il gene terapeutico nelle cellule del paziente, generalmente, si utilizzano i cosiddetti vettori virali - cioè dei virus spogliati del loro contenuto e resi quindi innocui - e trasformati in traghettatori del materiale genetico. Le terapie geniche messe a punto finora utilizzano vettori virali ottenuti “addomesticando” virus diversi a seconda dell’organo a cui sono indirizzate, dall’occhio al fegato alle cellule staminali del midollo osseo e così via.
In epoca recente le conoscenze sviluppate nell’ambito della terapia genica ad uso terapeutico, a cui i ricercatori Telethon hanno contribuito in modo significativo, sono state sfruttate anche per lo sviluppo di vaccini. Ciò è già avvenuto nel caso del virus Ebola, il cui vaccino sfrutta come vettore il virus della stomatite vescicolare.
E oggi, uno dei vaccini già in fase di sperimentazione sull’uomo per Covid-19 e sviluppato grazie alla collaborazione tra l'Università di Oxford e l’azienda italiana Advent-Irbm di Pomezia è proprio basato sul trasferimento genico tramite un vettore virale, derivato in questo caso dall’adenovirus di tipo 5. Il vettore trasporta nelle cellule della persona da vaccinare le istruzioni genetiche necessarie ad attivare la sintesi di una delle proteine presenti sulla “corona” del virus e dare così il segnale di attivazione al sistema immunitario.
È interessante notare che, mentre per le malattie genetiche questo tipo di vettore non si usa spesso perché troppo immunogenico, cioè portato a stimolare una risposta immunitaria che nel contesto della terapia genica si vuole evitare, nel caso di un vaccino tale proprietà potrebbe invece risultare molto utile.