La distrofia è una malattia complessa, ma gruppi di ricerca in tutto mondo lavorano per permettere ai pazienti di "andare lontano" e per sconfiggere la malattia con tecniche innovative come la terapia sull’Rna. Telethon è in prima linea.
Oltre 22 milioni di euro per 196 progetti di ricerca in 30 anni. Tanto è stato l’investimento di Fondazione Telethon a oggi per la ricerca sulla distrofia muscolare di Duchenne: «Un impegno andato di pari passo con quello di tante associazioni ed enti di ricerca in tutto il mondo» commenta Anna Ambrosini, Program Manager dell’Area muscolare della Direzione Ricerca e Sviluppo di Telethon.
«I risultati di tanta ricerca nazionale e internazionale non sono mancati: grazie ai trattamenti disponibili oggi l’aspettativa di vita dei pazienti può superare i 40 anni e anche la sua qualità è decisamente migliorata». Come sempre accade, è la ricerca scientifica che ha permesso ai pazienti e alle loro famiglie di cominciare a pensare di poter "andare lontano".
Certo, il risultato che tutti aspettano - la cura definitiva della malattia - non è ancora disponibile, come non lo sono approcci terapeutici “su misura” per alcune temibili complicanze come le cardiomiopatie, ma nuove speranze continuano ad arrivare dalla ricerca sulle terapie avanzate.
Del resto, come spiega Manuela Battaglia, Responsabile della Ricerca della Fondazione «la ricerca è un percorso bellissimo, ma complesso, disseminato di ostacoli, che richiede tempi lunghi». Ma a che punto siamo davvero, e quali sono per Fondazione Telethon le prospettive per il futuro della ricerca sulla distrofia di Duchenne?
Una malattia complessa
L’ostacolo principale sul cammino della ricerca è l’estrema complessità biologica della malattia. «Non a caso - ricorda Ambrosini - all’inizio la Fondazione ha investito soprattutto in ricerca di base, dedicata a comprendere meglio la natura del gene responsabile della malattia, quando mutato, e della proteina da esso codificata: la distrofina».
Diversi aspetti contribuiscono a questa complessità e dunque alla difficoltà di trovare una terapia definitiva. «Innanzitutto la straordinaria lunghezza del gene, per cui non è possibile veicolarne un’eventuale copia corretta con un singolo vettore virale come si fa nella terapia genica (ma neppure con una coppia di vettori, come si sta cominciando a fare a livello sperimentale per alcune malattie genetiche dell’occhio). Ancora, il fatto che esistono molti tipi diversi di mutazioni con effetti differenti e che questi possono essere modulati da varianti in quelli che gli scienziati chiamano “geni modificatori”, che per di più possono anche influenzare il modo in cui i pazienti rispondono ai trattamenti disponibili. Inoltre, il fatto che esistono forme diverse di distrofina a seconda del tessuto o dell’organo in cui si trova rende necessario innanzitutto comprenderne il ruolo nello specifico tipo cellulare». Studiare questa combinazione di effetti e interazioni è inoltre complicato dalla mancanza un modello animale veramente rappresentativo della malattia. «Infine, bisogna considerare che il bersaglio terapeutico è molto ampio (l’intero corpo) e non così facile da raggiungere come si potrebbe pensare, e che eventuali interventi dovrebbero essere avviati molto presto, prima che ci sia una degenerazione completa dei muscoli».
Terapie innovative
Nonostante queste difficoltà, di strada ne è stata fatta tanta e tanta se ne sta continuando a percorrere. «Nella ricerca clinica c’è un grande fermento, distribuito lungo tre linee internazionali di lavoro, alle quali Fondazione Telethon sta contribuendo, anche con il supporto dell’Unione italiana per la lotta alla distrofia muscolare (Uildm)» spiega Battaglia. «Una linea riguarda terapie innovative che hanno l’obiettivo di rallentare la progressione della malattia, ripristinando i livelli di distrofina. È il caso della terapia genica, che per ora ha previsto l’utilizzo di versioni ridotte del gene, codificanti per una micro o una minidistrofina». Proprio per questo motivo, quello che ci si aspetta non è la cura definitiva della malattia, ma un’attenuazione dei sintomi e un rallentamento della progressione, come se si trasformasse la distrofia di Duchenne in qualcosa di molto più simile alla più lieve distrofia di Becker. Sono già in corso sperimentazioni cliniche, con alcuni risultati intermedi promettenti e altri un po’ più deludenti, anche se è ancora presto per trarre conclusioni definitive.
«Tra le terapie innovative - prosegue Battaglia - c’è anche il ricorso a molecole in grado di modificare la “lettura” dell’RNA messaggero, l’intermediario tra il gene e la proteina». Tre sono già state approvate negli Stati Uniti mentre una - Ataluren indicata per il 10-20% dei pazienti - è arrivata anche in Italia. Anche in questo caso, quello che si è osservato è rallentamento e attenuazione dei sintomi. Riguardo alla ricerca sulle terapie mirate all’RNA, Battaglia sottolinea l’importanza di una serie di studi di storia naturale della malattia - cioè la storia di come si evolve nel tempo, in assenza di trattamenti specifici - finanziati proprio da Telethon e Uildm. Oltre a far conoscere meglio l’andamento della malattia, le informazioni raccolte da questi studi sono state fondamentali anche come confronto a lungo termine con gruppi di pazienti che avevano partecipato a trial terapeutici internazionali, senza quindi dover mantenere aperto lo studio con un gruppo placebo.
Co-terapie di supporto
Accanto alla ricerca sulle terapie innovative c’è poi quella su co-terapie di supporto che possono aiutare a combattere la degenerazione muscolare. Una linea riguarda terapie farmacologiche che puntano a spegnere la risposta infiammatoria e la fibrosi del tessuto o per favorire il metabolismo energetico. A questo proposito, Ambrosini segnala la partenza di uno studio clinico su una molecola, Alisporivir, che proprio la ricerca Telethon ha indicato come molto promettente per la preservazione del muscolo attraverso la protezione dei mitocondri, le centrali energetiche delle cellule. «La sperimentazione riguarda in prima battuta le distrofie del collagene VI, ma se tutto andrà bene ci aspettiamo che possa essere estesa in un secondo momento anche alla distrofia di Duchenne».
Infine, un’ultima linea di ricerca riguarda terapie cellulari che possano favorire la rigenerazione della fibra muscolare. Di nuovo, proprio dalla ricerca preclinica di Telethon è derivato un farmaco, Givinostat, che promuove la rigenerazione delle cellule staminali del muscolo ora in sperimentazione clinica da parte dell’azienda che lo produce.
Le prospettive per il futuro
Il panorama, insomma, è ricco di nuovi approcci e sperimentazioni. Allo stesso tempo, però, rimane importante continuare ad approfondire la storia naturale sia della distrofia di Duchenne sia di quella di Becker, visto che le nuove terapie per la prima potrebbero portare a quadri clinici analoghi a quelli della seconda. E sono proprio studi di questo tipo i vincitori dell'ultimo bando congiunto Telethon-Uildm, resi noti lo scorso luglio.
«Anche se può sembrare strano, la conoscenza di questa storia naturale non è ancora completata (pensiamo al ruolo dei geni modificatori), e in ogni caso non la si può mai considerare definitiva perché nel tempo cambiano gli standard di cura», afferma Ambrosini. «Inoltre è importante acquisire conoscenze sempre più raffinate non solo per la fascia tra i 6-7 e i 15 anni, la più coinvolta negli studi, ma anche rispetto ai bambini più piccoli e agli adulti». E poiché mancano ancora conoscenze ma soprattutto terapie specifiche rispetto a una delle complicazioni più gravi della distrofia di Duchenne, cioè la cardiomiopatia, sarà opportuno continuare a investire in questo senso, per esempio continuando a sostenere un progetto su cardiomiopatie e medicina personalizzata nei pazienti con distrofia di Duchenne avviato nel 2019.