Scopriamo a che punto siamo nelle terapie dell'emofilia, il più frequente tra i disturbi della coagulazione.
Oggi sono circa 4000, in Italia, le persone con emofilia, una malattia genetica rara che in passato comportava conseguenze gravi, compresa una ridotta aspettativa di vita. Grazie agli avanzamenti della ricerca, però, oggi molti pazienti possono condurre un’esistenza senza limitazioni eccessive. In occasione della Giornata mondiale dell’emofilia, che quest’anno si celebra oggi 17 aprile con un’attenzione particolare all’accesso equo al riconoscimento e al trattamento della malattia, facciamo il punto su questa condizione e su cosa resta ancora da fare.
Che cos’è l’emofilia
Si tratta di una malattia ereditaria rara del sangue dovuta alla carenza di proteine che promuovono la coagulazione del sangue stesso, un processo che permette la formazione di una sorta di “tappo” per impedire la fuoriuscita di sangue da vasi sanguigni danneggiati, per evitare emorragie.
Le proteine della coagulazione maggiormente coinvolte nell’emofilia sono due: il fattore VIII, la cui mancanza provoca l’emofilia di tipo A, che è anche la più frequente, e il fattore IX, carente invece nell’emofilia di tipo B.
Emofilia, i sintomi
Il sintomo caratteristico sono le emorragie, cioè sanguinamenti eccessivi che possono essere esterni o interni. Possono avvenire sia in seguito a traumi, ferite e operazioni chirurgiche, sia in modo spontaneo. Le emorragie interne si localizzano per lo più a livello delle articolazioni (ginocchia, gomiti, caviglie), dei muscoli, del tessuto sottocutaneo ma anche del sistema nervoso e di stomaco e intestino.
Emofilia: la qualità della vita e l’aspettativa di vita
Fino a non molti decenni fa l'emofilia, ben nota anche nella storia delle famiglie reali europee, era una malattia invalidante. Comportava dolore cronico, disabilità, limitazioni e una ridotta aspettativa di vita a causa di emorragie gravi che potevano verificarsi in modo improvviso. Se non trattate, infatti, queste emorragie possono mettere a rischio la sopravvivenza.
A partire dagli anni Settanta, però, le condizioni di vita hanno cominciato a migliorare in modo notevole. Merito in particolare della disponibilità di terapie sostitutive, che forniscono all'organismo il fattore della coagulazione mancante, riducendo le limitazioni e permettendo di raggiungere un’aspettativa di vita paragonabile a quella di chi non ha l’emofilia, e che vengono continuamente ottimizzate. Ancora più recente è l’approvazione a livello internazionale di due terapie geniche per le forme più gravi di emofilia di tipo A (disponibile da pochissimo anche in Italia) e di tipo B.
Perché colpisce solo i maschi?
L’emofilia è una malattia ereditaria con una trasmissione legata al cromosoma X. Significa che il difetto genetico responsabile è localizzato sul cromosoma X, un cromosoma sessuale di cui le femmine possiedono due copie, i maschi una. Per questo, poiché basta ereditare una sola copia del gene alterato, è molto più probabile che a essere colpiti siano i maschi, ai quali in genere la malattia viene trasmessa da madri che sono portatrici sane. Nel caso delle femmine, infatti, il difetto genetico presente su uno dei due cromosomi X è compensato dal gene sano presente sull'altro cromosoma.
Se però la mamma è portatrice e il papà ha l’emofilia, anche le figlie femmine possono ereditare la malattia. Tuttavia, si tratta di un caso molto raro.
Come si cura oggi l’emofilia?
Lo standard di cura attuale è la terapia sostitutiva con i fattori della coagulazione mancanti o carenti, somministrati per via endovenosa. Questi fattori possono essere ottenuti dal sangue o dal plasma di donatori oppure per via ricombinante (in laboratorio). La somministrazione può essere effettuata solo quando si verifica il sanguinamento (nei casi più lievi), oppure per prevenire i sanguinamenti spontanei e le emorragie gravi. Questa forma di profilassi richiede due-tre somministrazioni alla settimana, comportando quindi un certo impegno per pazienti e familiari.
Un altro limite della terapia sostitutiva consiste nel fatto che alcuni pazienti sviluppano degli anticorpi neutralizzanti – inibitori - nei confronti dei fattori sostitutivi, che impediscono la corretta risposta al trattamento. Proprio questo è uno degli ambiti di ricerca finanziati da Fondazione Telethon. L’obiettivo è quello di di mettere a punto strategie in grado di modulare la tolleranza immunitaria dei pazienti alle terapie sostitutive.
La principale novità terapeutica degli ultimi anni è sicuramente la terapia genica, strategia che permette di fornire alle cellule malate una versione corretta del gene difettoso.
In particolare, la Commissione Europea ha già approvato nel 2022 una terapia genica per forme gravi di emofilia A. Nel 2023 una terapia genica per forme gravi e moderatamente gravi di emofilia B. La prima ha ricevuto l'autorizzazione di recente anche nel nostro Paese. Anche su questo fronte, tuttavia, la ricerca non si ferma. Invece, si punta allo sviluppo di terapie ancora più avanzate e utili a pazienti che per vari motivi non possono usufruire di quelle giù disponibili.
Di nuovo, Fondazione Telethon è in prima linea, con un progetto di ricerca specifico coordinato da Alessio Cantore, responsabile del gruppo di ricerca di Terapia genica del fegato dell’Istituto San Raffaele Telethon (SR-Tiget) di Milano.