Un sorprendente link genetico tra due malattie molto diverse, il favismo e l’incontinentia pigmenti: a descriverlo per la prima volta sulle pagine della rivista Human Molecular Genetics* è uno studio finanziato da Telethon e condotto da Matilde Valeria Ursini, ricercatrice dell’Istituto di genetica e biofisica del Cnr di Napoli.
L’incontinentia pigmenti è una rara malattia genetica che si manifesta fin dall’infanzia con delle lesioni cutanee caratteristiche, spesso associate ad anomalie dei capelli, unghie e denti, nonché a ritardo mentale di entità variabile. Il gene responsabile si chiama NEMO ed è stato individuato nel 2000 anche grazie a Telethon: si trova sul cromosoma X ed è necessario per la produzione di una proteina coinvolta in numerose attività cellulari, così importante che la sua assenza è incompatibile con la vita. Per questo la malattia colpisce soltanto le bambine, che possiedono due copie del cromosoma X, mentre è letale nei maschi, che ne hanno uno solo. Nel 65% delle pazienti, il difetto genetico responsabile della malattia non è ereditato dai genitori, che sono perfettamente sani, ma dipende da un’alterazione genetica che insorge nelle cellule germinali, nell’ovocita della madre o negli spermatozoi del padre.
Ecco perché, come spiega Ursini, «molto spesso la malattia si manifesta all’interno di famiglie in cui non ci sono mai stati altri casi. Tuttavia, ad oggi in un quinto delle pazienti non siamo ancora in grado di fare una diagnosi molecolare, non conosciamo cioè lo specifico difetto del gene NEMO responsabile dei sintomi che osserviamo. Soltanto così possiamo stabilire con sicurezza che le pazienti sono effettivamente affette da questa malattia».
Il nuovo studio Telethon potrebbe aiutare a spiegare alcuni dei casi ancora in attesa di una diagnosi molecolare: i ricercatori napoletani hanno infatti individuato alcune particolari regioni del cromosoma X che vengono perse nel Dna delle pazienti durante la “ricombinazione omologa”, fenomeno che permette ai cromosomi di scambiarsi porzioni di Dna e favorire così la variabilità genetica.
«L’aspetto sorprendente - commenta la ricercatrice - è che queste regioni si trovano in una zona del Dna in cui si sovrappongono parzialmente due geni molto diversi, NEMO e G6PD, le cui mutazioni causano una malattia genetica completamente diversa nota come “favismo” e piuttosto comune nel bacino del Mediterraneo». Chi ne soffre può andare incontro a grave anemia in risposta a vari fattori ambientali tra cui il consumo di fave: da qui l’obbligo per i negozi di frutta e verdura di segnalare l’eventuale presenza di questi legumi.
«Per noi che da anni studiamo questa porzione del cromosoma X, la scoperta è affascinante - continua Ursini - perché dal punto di vista clinico le due malattie non hanno niente in comune. Non solo: questa “sovrapposizione genetica” ha finora mascherato l’eventuale perdita di porzioni del gene G6PD: a differenza dell’incontinentia pigmenti, infatti, la carenza di G6PD è una malattia recessiva, bisogna cioè ereditare due alterazioni da entrambi i genitori per manifestare i sintomi. Inoltre, la scoperta di queste ricombinazioni omologhe alterate ci fornisce uno strumento in più per “cercare” il difetto genetico anche nelle pazienti ancora prive di diagnosi molecolare. Questo rappresenta un passo indispensabile, se non per la cura, per cui siamo ancora in attesa di una terapia definitiva, almeno per trattare con tempestività i sintomi più gravi».
*Fusco Francesca, Paciolla Mariateresa, Napolitano Federico, Pescatore Alessandra, Bal Elodie, Lioi Maria Brigida, Smahi Asma, Milano Maria Giuseppina and Ursini Maria Valeria “Genomic architecture at the Incontinentia Pigmenti locus favous de novo pathological alleles through different mechanisms” Human Molecular Genetics, 2011.