Un padre e un figlio, entrambi medici e ricercatori, la cui storia professionale e umana è stata indissolubilmente legata al virus HIV: per motivi diversi ma di grande impatto sulla vita delle persone.
Oggi si celebra la Giornata mondiale per la lotta all’AIDS: dal 1988, infatti, il primo dicembre è il giorno che tutto il mondo dedica a quella che è stata definita “la peste del secolo” e che dal 1981 ha ucciso quasi 35 milioni di persone.
Tantissime sono le storie che in questi 40 anni sono state raccontate: quelle di pazienti più o meno famosi che hanno perso la vita o ci hanno messo la faccia, di medici e scienziati che hanno contribuito a cambiare la storia della malattia, di politici che hanno dovuto prendere decisioni, talvolta impopolari e sbagliate. La storia che Fondazione Telethon vuole raccontare oggi è quella di un padre e di un figlio, entrambi medici e ricercatori, la cui storia professionale e umana è stata indissolubilmente legata al virus HIV: per motivi diversi, opposti in un certo senso, ma di grande impatto sulla vita delle persone.
Fernando Aiuti e la lotta a tutto tondo all’HIV/AIDS
Il padre di questa storia è Fernando Aiuti (1935-2019), medico da sempre impegnato nel campo delle malattie infettive e che si definiva «immunologo clinico, amante della scienza che studia il sistema immunitario, come funziona e anche le malattie dovute al suo cattivo funzionamento». Nel suo libro del 2015 “Il nostro meraviglioso sistema immunitario. Come conoscerlo e preservarlo” ha paragonato il sistema immunitario a un’orchestra: «Se un suo elemento musicale stona, la musica ne risente e cominciano i problemi. Non solo, ma come accade in un’orchestra, i problemi sono diversi secondo i vari elementi».
Negli anni Ottanta, con la progressiva diffusione dell’AIDS in tutto il mondo ha concentrato buona parte della sua attività sul virus HIV. Come ricercatore ha provato a indagarne il comportamento, collaborando anche con Robert Gallo dell’Università del Maryland (USA), uno degli scienziati che maggiormente hanno contribuito a chiarire il ruolo di questo virus quale responsabile della sindrome. Come medico ha seguito numerosi pazienti: nel bel documentario della serie “Italiani. Con Paolo Mieli” a lui dedicata spicca la storia di Daniele, che contrasse il virus dalla madre sieropositiva, e che Aiuti seguì da vicino per tutta la sua breve vita, prima dell’avvento delle terapie antiretrovirali che hanno cambiato la storia di questa malattia.
Ma l’impegno di Fernando Aiuti è andato anche oltre l’attività scientifica e la pratica clinica: non solo ha fondato l’Anlaids, la prima associazione italiana dedicata all’HIV/AIDS, ma ha contribuito in modo decisivo alla lotta allo stigma che per così tanti anni ha circondato le persone sieropositive. La sua immagine più famosa è una foto del 1991 in cui bacia una giovane donna sieropositiva, Rosaria Iardino, per dimostrare che la saliva non era un veicolo di trasmissione del virus. In un’epoca assolutamente pre-social quell’immagine ha avuto impatto mediatico enorme e imprevisto, alla pari di campagne decisamente più costose e pianificate, ed è tuttora a distanza di 30 anni una delle icone più potenti della lotta all’AIDS. Il suo impegno politico a favore delle persone colpite dal virus è stato riconosciuto anche dal Presidente della Repubblica, che nel 1992 lo ha nominato Cavaliere di Gran Croce al merito.
Alessandro Aiuti, l’HIV come alleato della terapia genica
Il figlio della storia, Alessandro Aiuti, è a sua volta un medico e ricercatore: come racconta in prima persona nel già citato documentario, è cresciuto “respirando” scienza fin da piccolo, seguendo anche il padre in alcuni dei suoi viaggi, come per esempio quello a Stoccolma presso uno dei più importanti istituti mondiali dedicati alle malattie infettive, il Karolisnka Institutet.
Dopo la laurea in medicina, anche lui all’Università La Sapienza di Roma, ha trascorso due anni come ricercatore post-doc all’Harvard Medical School di Boston (USA). E qui ha iniziato a sua volta a studiare il sistema immunitario: come si sviluppa, come funziona e quando invece non è in grado di difenderci dalle infezioni. Il suo interesse si è concentrato sulle immunodeficienze, ma non acquisite a causa di un agente esterno come è appunto l’AIDS, bensì quelle primitive: malattie molto rare che si manifestano già nei primi anni di vita, in cui il sistema immunitario non si sviluppa a dovere a causa di un difetto genetico ereditario.
Rientrato in Italia, nel 1996 Alessandro Aiuti ha iniziato a lavorare all’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (SR-Tiget) di Milano, dove ha contribuito a mettere a punto il primo farmaco al mondo di terapia genica con cellule staminali proprio per una rara immunodeficienza, l’ADA-SCID. Nella terapia genica il virus da nemico diventa infatti alleato: sapientemente modificato può essere infatti reso innocuo, cioè incapace di replicarsi, ed essere sfruttato per trasportare nelle cellule versioni corrette di geni difettosi. Le staminali del sangue, prelevabili dall’organismo in modo abbastanza agevole, possono essere così corrette in laboratorio e poi reinfuse per curare malattie sia del sistema immunitario che di altri organi, compreso il sistema nervoso.
Ed è proprio all’Istituto SR-Tiget che l’HIV, opportunamente modificato dalle mani esperte dei ricercatori, è stato trasformato da virus temibile in un farmaco di precisione, in grado di correggere in modo stabile e duraturo difetti genetici responsabili di gravissime malattie dell’infanzia. Grazie a vettori derivati dal virus HIV, detti lentivirali, è stato possibile offrire una seconda opportunità di vita ai bambini affetti da una grave malattia neurodegenerativa, la leucodistrofia metacromatica: alla fine del 2020 la terapia genica nata nei laboratori dell’SR-Tiget è stata approvata come farmaco in Europa. Sotto la guida di Alessandro Aiuti sono inoltre in corso altre tre sperimentazioni cliniche di terapia genica con vettori lentivirali su altrettante malattie genetiche: la sindrome di Wiskott-Aldrich, una rara immunodeficienza; la beta talassemia, grave forma di anemia particolarmente diffusa nei paesi mediterranei; la sindrome di Hurler, rara malattia metabolica per la quale i primi risultati positivi della terapia genica sono stati pubblicati proprio nelle scorse settimane.
Per il suo contributo allo sviluppo della terapia genica per malattie genetiche rare Alessandro Aiuti ha ricevuto nel 2020 il Premio Else Kröner Fresenius per la ricerca biomedica, del valore di 2,5 milioni di euro.
Una storia di famiglia sul potere della scienza
Quella di Fernando e Alessandro Aiuti è una storia che trasmette come quanto la scienza e le persone che la fanno possano cambiare la vita delle singole persone.
Nel 1993, quando ancora non erano disponibili farmaci specifici contro l’HIV, Fernando Aiuti scriveva fiducioso: «Per la fine degli anni Novanta la ricerca avrà messo a punto nuove terapie e sperimentato l’efficacia di alcune sostanze innovative. La vita dei malati migliorerà, ne sono sicuro. In assenza del miracolo, mi sembra più saggio insistere sulla possibilità di narcotizzare il virus: renderlo cioè inoffensivo attraverso la somministrazione di farmaci, pur senza eliminarlo dall’organismo. È probabile che l’AIDS possa diventare una malattia cronica, dalla quale non si guarisce ma di cui forse non si morirà più, come oggi avviene per il diabete».
È stato proprio così: nella seconda metà degli anni Novanta, l’introduzione dei farmaci anti-retrovirali, in grado di bloccare la replicazione dell’HIV, si sono dimostrati in grado di tenere l’infezione sotto controllo, soprattutto se usati in combinazione. Tutt’oggi rappresentano lo standard di cura, anche se purtroppo non ugualmente accessibili nelle diverse zone del mondo. La ricerca, però, continua ad andare avanti per trovare soluzioni ancora più efficaci, in primis un vaccino, anche grazie alle tecnologie più avanzate emerse negli ultimi anni come l’editing genetico.
Dall’altra parte, la ricerca ha messo in luce come l’HIV possa essere trasformato in un vero farmaco di precisione nel campo delle terapie avanzate: attualmente, cinque delle dodici terapie geniche approvate in Europa si basano su vettori derivati proprio da questo virus e molte altre sono in fase di sperimentazione sull’uomo per malattie genetiche e varie forme di cancro. «I risultati ottenuti con i vettori derivati dall’HIV nel campo delle malattie genetiche in questi ultimi dieci anni - commenta oggi Alessandro Aiuti - sono straordinari. Dobbiamo andare avanti in fretta perché molti pazienti affetti da malattie rare stanno ancora aspettando una terapia, “la terapia” specifica per la loro malattia. Sono ottimista, perché se da un lato i vettori virali continueranno a essere uno strumento valido, l’evoluzione delle tecnologie procede ancora più rapidamente del passato e ci consentirà di sviluppare le terapie più adatte per ciascuna malattia. La passione per la ricerca che mi guida è quella che mi ha trasmesso mio padre fin dall’inizio, insieme all’attenzione particolare al rigore scientifico ma anche alla considerazione per gli aspetti umani delle relazioni con i pazienti e le loro famiglie».