La ricercatrice Maria Serafina Ristaldi del Cnr di Monserrato (Cagliari) fa il punto sul progetto finanziato dalla Fondazione con il Bando 2020.
Si celebra l'8 maggio la Giornata mondiale della talassemia, dedicata quest'anno al tema delle disuguaglianze globali nell'accesso alle cure per la comunità dei pazienti. In altre parole, significa che ci sono pazienti che hanno un accesso relativamente facile alle terapie - trasfusioni di sangue, terapie ferrochelanti e, ove possibile, trapianto di midollo - e pazienti per i quali questi trattamenti restano un miraggio. Sono pazienti di aree povere del mondo, dove i servizi sanitari hanno grossi limiti di organizzazione e grosse difficoltà nell'erogazione di cure adeguate. E dove ancora di talassemia si muore in giovane età.
Per questi pazienti, che hanno e avranno ancora meno accesso alle terapie più innovative come la terapia genica, poter disporre di un trattamento più semplice - per esempio un farmaco - sarebbe davvero rivoluzionario. Ed è proprio questo l'oggetto del progetto di ricerca appena finanziato da Fondazione Telethon al gruppo di Maria Serafina Ristaldi del Cnr di Monserrato, in provincia di Cagliari: sviluppare nuove molecole potenzialmente efficaci contro la beta-talassemia e l'anemia falciforme.
In attesa di soluzioni definitive alternative al trapianto di midollo - a cui non tutti i pazienti hanno accesso se manca un donatore compatibile, e che a sua volta non è privo di rischi - farmaci di questo tipo sarebbero vantaggiosi anche per i pazienti di paesi ad alto reddito. Paesi come l'Italia, dove in particolare la beta-talassemia è relativamente diffusa, soprattutto in alcune aree geografiche. «Si tratta di aree ex-malariche - spiega Ristaldi - perché essere portatori di questa malattia conferiva un vantaggio rispetto alla malaria: dunque Sardegna, Pianura Padana, alcune zone del Sud Italia. E anche se nel nostro Paese le cure sono ottimali tanto che i pazienti riescono a condurre una vita piena e intensa, rimane il fatto che si tratta di cure molto impegnative».
Già da alcuni anni, uno degli interessi di ricerca di Ristaldi è l'emoglobina HbA2: insieme alla HbA1, una delle forme di emoglobina presenti nell'organismo adulto. «Il punto è che normalmente di HbA2 ce n'è molto poca e questa scarsa quantità non riesce a sopperire a eventuali carenze o difetti della HbA1, come quelli che si verificano per ragioni genetiche nel caso dell'anemia falciforme o della beta-talassemia».
Ristaldi e collaboratori hanno cercato di capire meglio le ragioni molecolari di questa scarsa presenza di HbA2, che hanno a che fare con un minore accesso del gene corrispondente all'apparato cellulare che porta alla trascrizione in Rna messaggero, un passaggio necessario per arrivare alla sintesi finale di questa forma di emoglobina. Soprattutto, hanno dimostrato che è possibile aumentare con tecniche di ingegneria genetica l'espressione del gene HbA2 - cioè il suo accesso a questo apparato e, di conseguenza, la produzione dell'emoglobina - in modelli preclinici della malattia.
«Già questa è una prospettiva molto interessante, ma complessa da sviluppare, che richiederebbe ulteriori approcci di terapia genica» commenta Ristaldi. Che sicuramente avrebbe proseguito la sua ricerca su questa strada - e non esclude di farlo in futuro - se a un certo punto non si fosse accorta quasi per caso che anche alcuni farmaci sembrano in grado di aumentare i livelli di HbA2. «Succede in particolare in pazienti con sclerosi multipla trattati con inferferone. Ora, l’interferone è un farmaco molto complesso da utilizzare, ma ci ha dato l'idea di provare a identificare nuove molecole con lo stesso effetto, cioè capaci di aumentare i livelli di HbA2 rendendoli terapeutici rispetto a condizioni come beta-talassemia e anemia falciforme».
Poiché altri gruppi di ricerca hanno messo in luce un'associazione tra la concentrazione di HbA2 e geni coinvolti nel ciclo cellulare, la ricercatrice ha deciso di puntare la sua attenzione proprio in questa direzione. «Il nuovo progetto finanziato da Fondazione Telethon riguarda lo screening di farmaci in grado di influenzare il ciclo cellulare dei globuli rossi, alla ricerca di potenziali farmaci con effetti terapeutici rispetto ai livelli di HbA2. Lavoreremo con modelli cellulari e animali e, in un secondo momento, anche con cellule prelevate direttamente da pazienti». Tutti passaggi fondamentale in vista, si spera, di una futura sperimentazione con pazienti.