La ricerca scientifica su questa malattia può avere importanti ricadute sulla vita di tante persone con patologie più comuni legate al colesterolo.
Di fronte alla Gioconda e al suo sguardo magnetico è quasi impossibile immaginare di essere di fronte al primo esempio documentato di una malattia genetica rara, l’ipercolesterolemia familiare, di cui oggi ricorre la giornata mondiale: a un occhio attento, le sapienti mani di Leonardo hanno ritratto nel dettaglio quei tipici depositi di grasso sulle mani e in prossimità degli occhi che oggi sono noti come xantomi e xantelasmi e che rappresentano un “marchio di fabbrica” di questa patologia su cui la Fondazione Telethon ha investito ad oggi 1,5 milioni di euro in progetti di ricerca.
«Da tempo sappiamo che livelli elevati di colesterolo possono essere molto dannosi per il sistema cardiovascolare, ma nonostante questo ancora oggi si stima siano 4 milioni all’anno le morti correlate» spiega Giuseppe Danilo Norata, professore ordinario di Farmacologia all’Università degli Studi di Milano. «Meno noto è forse il fatto che ci sono persone che accumulano il colesterolo a causa non di stili di vita scorretti, ma di un difetto genetico che riduce la capacità del loro fegato di captarlo ed eliminarlo correttamente. Il cosiddetto “colesterolo cattivo”, o LDL, aumenta così nel sangue, raggiungendo livelli che nei casi gravi superano facilmente i 500 mg/dl, oltre 3 volte quelli normali. Ecco allora che tutte le note problematiche cardiovascolari associate a un eccesso di colesterolo nel sangue - angina, infarto, ictus - sono drammaticamente anticipate: nei rarissimi casi di omozigosi, in cui cioè il difetto genetico viene ereditato da entrambi i genitori, il rischio di infarto, in assenza di terapia, è già consistente attorno ai 15-20 anni di età e l’aspettativa di vita difficilmente supera i 30 anni. Inoltre, si stima che fino a un terzo dei casi di infarto prima dei 40 anni siano dovuti proprio a ipercolesterolemia familiare non diagnosticata o curata in modo inappropriato».
La gravità della malattia è strettamente correlata al profilo genetico: sono diversi i geni coinvolti e le possibili mutazioni e in genere questo si traduce in un malfunzionamento di entità variabile del recettore per il colesterolo LDL. Nei casi di gravità intermedia, quando la mutazione è soltanto su uno dei geni ereditati (eterozigosi), la terapia farmacologica a base di statine e la combinazione con farmaci che aumentano l’espressione del recettore per LDL (ezetimibe o PCSK9 inibitori) consente di migliorare la performance della copia sana del gene e ridurre l’accumulo di colesterolo nel sangue.
«Le statine, peraltro, sono uno dei farmaci principali impiegati in tutto il mondo per contrastare l’ipercolesterolemia, anche quando non è su base genetica – puntualizza Norata. E mi piace sempre ricordare che è grazie agli studi pionieristici sull’ipercolesterolemia familiare di due premi Nobel, Goldstein e Brown, che si è capito a fondo il metabolismo cellulare del colesterolo e si sono poste le basi teoriche per comprendere il potenziale di questi farmaci: un esempio brillante di come studiare le malattie genetiche rare possa avere un impatto per la collettività intera».
Ma ci sono casi - rari e molto gravi - in cui la terapia a base di statine non è efficace: sono quelli di omozigosi, in cui cioè il difetto viene ereditato da entrambi i genitori. Per eliminare il colesterolo LDL dall’organismo di questi pazienti si deve ricorrere all’aferesi, un processo che permette di “ripulire” il loro sangue analogamente a quanto si fa con la dialisi quando i reni non funzionano. «Si tratta però di una procedura che impatta notevolmente sulla qualità della vita, perché va fatta circa ogni 3 giorni e dura diverse ore. Negli ultimi anni la ricerca ha portato allo sviluppo di farmaci specifici anche per le forme omozigoti, come lomitapide, che hanno migliorato notevolmente l’aspettativa di questi pazienti, ma dobbiamo provare a fare di più: tuttora infatti, i casi più gravi pur con la terapia possono andare incontro a infarto prima dei 40 anni. Stiamo quindi valutando, anche con il supporto di Fondazione Telethon, le potenzialità di un approccio terapeutico complementare, da affiancare a quelli esistenti. L’idea è ridurre l’infiammazione cronica che si instaura nei vasi sanguigni di questi pazienti a causa dell’accumulo precoce di colesterolo sotto forma di placche, che viene visto come estraneo del sistema immunitario. Per farlo, proveremo a “istruire” una particolare classe di cellule del sistema immunitario, i linfociti T regolatori, che normalmente hanno il compito di spegnere le risposte eccessive. Nei pazienti con ipercolesterolemia familiare queste cellule funzionano meno del normale: vorremmo quindi provare a riattivarle grazie a specifici farmaci e a indirizzarle in modo specifico laddove servono, nelle placche aterosclerotiche, dopo averle ingegnerizzate con la terapia genica, che conferisce loro dei “sensori” per andare dirigersi nei vasi aterosclerotici. Una tecnica analoga a quella già in uso per indirizzare il sistema immunitario in modo specifico contro i tumori. Se gli esperimenti nei modelli sperimentali confermeranno la nostra ipotesi, potremmo modificare in questo modo le cellule T regolatorie dei pazienti e farle diventare una vera e propria terapia autologa». A ricordare l’importanza di questa giornata e della sensibilizzazione sulla malattia è stato anche Domenico Della Gatta, presidente dell’Associazione Nazionale Ipercolesterolemia Familiare (Anif). «La giornata che ci prepariamo a vivere rappresenta un evento molto significativo per i molti malati affetti da questa grave patologia, ma ancora di più per le loro famiglie, e per tutti gli operatori medici e sociali di ogni area di settore. La nostra missione è far capire a chi ci sta intorno - politici, scienziati, operatori sociali e pazienti - che in questo campo molto è stato già fatto, ma c’è ancora tanto da fare in tema di ricerca e di innovazione delle terapie. Il Governo di un Paese civile come il nostro non può certo ignorare il problema».