Il nuovo progetto della cardiologa Silvia Priori sostenuto da Fondazione Telethon studia la sindrome del QT lungo, patologia ereditaria del cuore, e cerca nuove terapie.
Il cuore è un lavoratore instancabile: senza sosta, pompa sangue per assicurare nutrimento e ossigeno a tutte le cellule dell’organismo. Contraendosi, in pratica, scandisce il ritmo della nostra vita. A volte, però, qualcosa va storto: il cuore va in tilt, il battito impazzisce e le conseguenze possono essere letali.
Silvia Priori è da decenni in prima linea nello studio delle malattie genetiche aritmogene che aumentano il rischio di arresto cardiaco e morte improvvisa ed è tra i leader a livello mondiale nel campo della medicina personalizzata per la cura delle cardiopatie ereditarie. Ora, con il sostegno di Fondazione Telethon, coordina un nuovo progetto che punta a fare chiarezza sulla sindrome del QT lungo.
«La sindrome del QT lungo è una patologia ereditaria del cuore, relativamente frequente nella popolazione: colpisce 1 neonato ogni 2.500. Ed è tra le principali cause di morte improvvisa nei bambini e nei giovani adulti apparentemente sani» spiega la cardiologa degli Istituti Clinici Scientifici Maugeri di Pavia.
UNA MALATTIA SILENTE Facile da diagnosticare per la presenza di un’anomalia sull’elettrocardiogramma (ovvero l’intervallo QT prolungato, cioè l’intervallo della registrazione elettrocardiografica compreso tra l’onda Q e l’onda T); non è altrettanto facile da prevenire e trattare. Anche perché «la patologia può rimanere silente per anni: i pazienti cioè conducono una vita normalissima fino a quando le irregolarità del battito irrompono con esiti che possono essere drammatici». Perdita di coscienza, arresto cardiaco, danni neurologici permanenti e morte improvvisa se il mancato afflusso di sangue (e quindi di ossigeno) al cervello dura oltre qualche minuto.
Il malfunzionamento del cuore, che nei pazienti con QT lungo è strutturalmente sano, è riconducibile ad alcune mutazioni genetiche nei canali ionici, che sono le proteine che modulano l’attività elettrica del nostro muscolo cardiaco. «L’attività elettrica del cuore - chiarisce la cardiologa - è un meccanismo molto delicato. Basta aumentare o diminuire lievemente il flusso di ioni quali sodio, calcio e potassio per destabilizzare il tutto».
Per ogni battito cardiaco infatti è necessario che vi sia un preciso passaggio di cariche elettriche. Queste sono veicolate principalmente da sodio, calcio e potassio. L’ingresso di sodio nelle cellule cardiache avvia il battito cardiaco, il calcio controlla la durata dell’attivazione, mentre l’uscita di potassio riporta il cuore in condizioni di riposo e lo rende pronto per attivarsi per il battito successivo.
La sindrome del QT lungo si verifica quando alterazioni in questi canali ionici provocano anomalie “elettriche” che scatenano aritmie maligne. «La gravità della malattia - prosegue Priori - è variabile e se la durata del QT è il più forte predittore di eventi avversi, almeno in parte la gravità è dipendente dal tipo di mutazione implicata».
Esistono infatti diverse varianti genetiche coinvolte nella sindrome del QT lungo. Proprio per questo l’analisi genetica, oltre che per confermare la diagnosi, è fondamentale: serve per identificare le mutazioni e, conseguentemente, valutare la migliore gestione del paziente. Geni diversi sono infatti responsabili di quadri clinici lievemente differenti. Ma non solo. A seconda del gene implicato cambiano anche i fattori scatenanti delle pericolose aritmie (stress fisico, stress emotivo).
IN CERCA DI SOLUZIONI Attualmente, il cardine della terapia è costituito dai farmaci betabloccanti che, anche se non modificano l’intervallo QT, contribuiscono a prevenire i sintomi. Tuttavia non risultano efficaci per tutti i pazienti. Nei casi in cui non riescono a controllare gli eventi aritmici è necessario ricorrere all’impianto del defibrillatore automatico, strumento in grado di riconoscere e trattare le aritmie mortali.
«Lo scopo del nostro progetto di ricerca è identificare cure innovative proprio per le varianti più severe della patologia. Come per esempio la sindrome del QT lungo di tipo 2, tipo 3 e tipo 8, nota anche come sindrome di Timothy, che rappresenta una delle forme più rare e più maligne». A tal fine «testeremo l’efficacia di una classe di farmaci che aumentano la funzione dei canali cardiaci del potassio, tra i principali responsabili nel determinare la durata dell’intervallo QT».
In altre parole, l’obiettivo del progetto triennale finanziato da Telethon è individuare farmaci in grado di attivare i canali che regolano il flusso di potassio all’interno delle cellule cardiache in modo da riportare il battito cardiaco entro parametri normali. Il team testerà in laboratorio l’efficacia di questi farmaci nell’accorciare la durata dell’intervallo QT, prima su modelli animali e poi sulle cellule cardiache ingegnerizzate a partire dalle cellule pluripotenti dei pazienti affetti. Per mettere a punto trattamenti terapeutici a misura di singolo paziente.
MEDICINA PERSONALIZZATA Il progetto, a cui partecipano anche ricercatori e ricercatrici del dipartimento di Bioscienze dell’Università Statale di Milano, guidati da Carlo Camilloni, e del dipartimento di Farmacia dell’Università di Bari Aldo Moro, guidati da Giovanni Lentini, si prefigge dunque di studiare le mutazioni genetiche che determinano la malattia, indagando il meccanismo elettrofisiologico che causa le aritmie, con l’obiettivo di mettere a punto nuove terapie “gene-specifiche”, ottimizzate cioè sulla base dell’anomalia genetica che causa la malattia in ciascun paziente. «Abbiamo già dimostrato che accorciando l’intervallo QT si ottiene una riduzione delle aritmie. Grazie a questo finanziamento confidiamo di fare ulteriori passi avanti per migliorare la vita dei pazienti». L’obiettivo ultimo è passare dalla terapia alla cura correggendo il difetto che rende il cuore dei pazienti instabile. In altre parole modificando il Dna. Questo è il futuro della medicina in molti ambiti e anche nel trattamento delle aritmie.