Oggi i bambini nati con la leucodistrofia metacromatica hanno un farmaco a disposizione che cambia il destino delle loro vite.
Si chiama Mohamad, ha gli occhi che ridono e ha da poco compiuto 12 anni. È nato in Libano, ma oggi vive a Milano, la città dove la ricerca scientifica gli ha regalato una seconda vita. Perché senza la ricerca Mohamad, probabilmente, non sarebbe più con noi: è nato infatti con un difetto genetico che non perdona e che dopo un esordio di vita apparentemente normale porta alla perdita di tutte le capacità acquisite, come camminare, parlare, mangiare autonomamente. Leucodistrofia metacromatica (Mld), questa la sentenza senza appello che i suoi genitori hanno ricevuto impotenti dai medici quando lui aveva solo quattro mesi e sembrava un bambino sano, ma quella malattia così rara aveva già iniziato a manifestarsi nel fratello maggiore Moustafà e, prima ancora, nella sorella Amani. A fare la differenza per Mohamad rispetto ai fratelli - morti entrambi a causa della malattia a pochi anni dalla diagnosi - è stata la ricerca italiana, quella dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (SR-Tiget) di Milano.
Il 7 maggio 2010 è stato infatti il primo bambino al mondo a ricevere in via sperimentale un trattamento assolutamente nuovo, frutto di un’intuizione geniale e di dieci anni di studi nei laboratori dell’istituto milanese nato nel 1995 come joint-venture tra la Fondazione Telethon e l’Ospedale San Raffaele. Esattamente dieci anni dopo, quella terapia inizialmente pionieristica è diventata un farmaco a tutti gli effetti, Libmeldy, approvato ufficialmente in Europa il 21 dicembre 2020.
Una storia che parte da lontano
La prima intuizione si deve a Luigi Naldini, direttore dell’Istituto, che a metà degli anni ‘90 ha dimostrato come il virus Hiv, che da un decennio aveva fatto la sua comparsa mietendo vittime in tutto il pianeta, potesse essere sfruttato in chiave terapeutica come trasportatore di versioni sane di geni responsabili di gravi malattie.
Gli anni successivi hanno permesso ai ricercatori di perfezionare quel vettore così speciale, rendendolo sempre più sicuro e incapace di replicarsi nelle cellule umane ma, mantenendone la capacità di inserire il proprio patrimonio genetico in quello della cellula ospite e trasportarvi un contenuto ad hoc. Come per esempio una versione sana del gene responsabile della malattia di Mohamad. «Questo lavoro è iniziato quando usare virus così pericolosi come Hiv per trasferire geni terapeutici nei pazienti sembrava davvero azzardato - ricorda Naldini, che allora si trovava negli Usa, al Salk Institute di La Jolla -. Dopo molti anni spesi a perfezionare la strategia, però, il nostro istituto è stato uno dei primi al mondo a testarla in ambito clinico. Da allora è passato tanto tempo, speso a rendere queste terapie sempre più fruibili dai pazienti: un conto è la prima sperimentazione clinica, necessariamente ristretta a pochi, un altro è rendere queste terapie veri e propri farmaci prescrivibili a tutti i pazienti che possano beneficiarne».
Da tutto il mondo a Milano
«Per dieci anni abbiamo seguito molti bambini con Mld, tutti invariabilmente peggiorati: per loro non abbiamo potuto fare niente, eravamo sempre indietro rispetto alla loro malattia. Non sappiamo se questa nuova terapia funzionerà, ci speriamo tanto. Se sarà così, mi sentirei soddisfatta di essere venuta al mondo». Sono ancora molto forti, a distanza di dieci anni, le parole di Alessandra Biffi, medico e ricercatore dell’SR-Tiget, oggi professore all’Università di Padova, all’indomani del primo trattamento eseguito su Mohamad.
Dopo di lui, decine di altri bambini con leucodistrofia metacromatica sono arrivati a Milano per ricevere la terapia genica. «Essere genitori e al tempo stesso assistere questi bambini, che spesso hanno la stessa età dei tuoi figli, è emotivamente impegnativo» commenta Valeria Calbi, pediatra dello staff clinico che ha condotto la sperimentazione. «Ricevono la terapia genica quando sono molto piccoli, prima che insorgano i sintomi, e aspettiamo con ansia i loro primi passi o le loro prime parole: tappe fondamentali dello sviluppo di ogni bambino, per noi la prova che la nostra terapia ha interrotto il circolo devastante della malattia».
Nel corso dello studio la terapia genica messa a punto all’SR-Tiget si è dimostrata in grado di cambiare radicalmente la storia naturale della malattia, purché somministrata precocemente, prima che il processo neurodegenerativo fosse troppo avanzato. Prelevando le cellule staminali ematopoietiche dei pazienti, correggendole in laboratorio grazie a quel vettore virale contenente più copie del gene terapeutico e reinfondendole poi nel circolo sanguigno, i ricercatori sono riusciti a bloccare o comunque rendere meno devastanti i sintomi.
Anche per Alessandro Aiuti, vicedirettore dell’Istituto e responsabile della ricerca clinica «è sempre una grande gioia quando questi bambini tornano da tutto il mondo per i controlli periodici. Li vediamo crescere, diventare grandi. Questo è il frutto del continuo sostegno di chi ha creduto in Telethon e del lavoro di una squadra affiatata, fatta di ricercatori, pediatri, psicologi, infermieri, personale sanitario… tantissime persone che hanno lavorato con passione in questi anni, mettendo in campo la loro professionalità ma anche una grande capacità di ascolto, seguendo questi bambini in tutto il loro percorso come se fossero i loro figli. Bambini che potranno vivere una vita diversa, inimmaginabile fino a poco tempo fa».
Un nuovo punto di partenza
Nel corso dell’ultima maratona televisiva, Luigi Naldini non ha potuto nascondere la commozione nel vedere le immagini del passato in cui, anno dopo anno, ha raccontato agli italiani le tappe di questa bellissima e faticosa avventura. «Ma la sfida - ci ha tenuto a ribadire – non finisce qua. Ci sono tante altre malattie genetiche per cui non abbiamo ancora una risposta ma, quanto ottenuto per la leucodistrofia metacromatica, ha fatto da apripista. Spero che potremo replicare questo approccio per altre malattie, anche più rapidamente tenuto conto di quanto abbiamo imparato. Quella che si è aperta davanti a noi è una nuova era della medicina e anche l’esperienza drammatica della pandemia ce lo sta confermando. L’investimento nella terapia genica, in queste tecnologie che consentono di modificare i virus e manipolarne le informazioni genetiche, è stato infatti cruciale nella produzione così rapida dei vaccini a cui stiamo assistendo per Covid-19. Quelle competenze ovviamente non erano state sviluppate dall’industria farmaceutica per il virus Sars-Cov-2, ma sulla traccia di questa nuova farmacologia. A volte neanche si immagina che certi studi che sembrano di nicchia, come quelli sulle malattie genetiche rare, possano poi avere ricadute così rilevanti per tutta la società».
Conclude Francesca Fumagalli, neurologa che negli anni ha seguito i progressi dei piccoli pazienti: «L’augurio è che ogni bambino possa ricevere la sua terapia e che Telethon possa continuare a fare il proprio lavoro. Questo è solo un inizio, la dimostrazione che con il sostegno di tutti la ricerca può raggiungere grandi traguardi. Ma quante malattie genetiche hanno bisogno di essere studiate per trovare una cura? Per questo abbiamo sempre bisogno del contributo di tutti».
Articolo pubblicato sul Telethon Notizie di febbraio 2021