Malattia di Alzheimer, le risposte alle domande più comuni

Sintomi, cause, trattamenti, prevenzione: in occasione della Giornata Mondiale sulla Malattia di Alzheimer facciamo il punto sulla forma di demenza più comune dopo i 65 anni.

Sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema della demenza e sostenere le persone colpite dalla malattia: è l’obiettivo della Giornata mondiale della malattia di Alzheimer, che si celebra ogni anno il 21 settembre. Cogliamo l’occasione per fare il punto, rispondendo alle domande più comuni sull’argomento. 

Che cos’è la malattia di Alzheimer? 

La malattia di Alzheimer è una forma di demenza, una condizione neurologica caratterizzata da deterioramento della memoria e di altre capacità cognitive e da alterazioni della personalità e del comportamento. Questa serie di manifestazioni arriva a compromettere l’esecuzione delle attività quotidiane più semplici. La malattia prende il nome del medico tedesco Alois Alzheimer che l’ha descritta per la prima volta all’inizio del Novecento. 

Quanto è diffusa la malattia di Alzheimer? 

Si tratta della forma di demenza più comune sopra i 65 anni, colpendo circa il 5% delle persone over 65. Si stima che in Italia ci siano circa 600 mila persone con la malattia e che siano più di cinque milioni in Europa.  

Quali sono i sintomi e le manifestazioni più comuni? 

Nella maggioranza dei casi, la malattia di Alzheimer colpisce principalmente le persone di età pari o superiore a 65 anni. I problemi di memoria, come dimenticare eventi o conversazioni recenti, sono spesso uno dei primi segni di compromissione cognitiva legata all’Alzheimer.

Con il progredire della malattia, si aggiungono difficoltà nel trovare le parole, problemi visivi/spaziali, confusione e disorientamento, riduzione delle capacità di ragionamento e giudizio, insieme a cambiamenti nel comportamento e nella personalità. Inoltre, la perdita di memoria diventa più grave, con difficoltà nel riconoscere amici e familiari. Nei casi avanzati, le persone possono perdere la capacità di svolgere attività quotidiane e diventare del tutto dipendenti dagli altri. 

Più raramente, nel 5-10% dei casi, la malattia di Alzheimer può comparire anche in età più precoce, tra i 40 e i 60 anni.  

Come avviene la diagnosi 

Al momento non esistono ancora test specifici per la diagnosi di malattia di Alzheimer prima della comparsa dei sintomi o alle loro primissime manifestazioni. La diagnosi di "Alzheimer probabile" si effettua quindi sulla base della storia del paziente e di valutazioni cliniche e di test per individuare alterazioni delle funzioni cognitive. Alcune indagini strumentali come risonanza magnetica o tomografia computerizzata possono servire a escludere altre patologie.  

Uno dei filoni principali della ricerca scientifica riguarda proprio il miglioramento delle tecniche diagnostiche e l’individuazione di biomarcatori per la diagnosi precoce.  

Quali sono le cause della malattia di Alzheimer? 

Si ritiene che il progressivo deterioramento delle funzioni cognitive tipico della malattia di Alzheimer dipenda da vari cambiamenti strutturali e molecolari che interessano il cervello. Tra questi: 

  • Accumuli di una proteina chiamata beta-amiloide tra le cellule nervose. Questi accumuli – o placche amiloidi – interferiscono con la comunicazione tra i neuroni; 
  • Presenza di aggregati anomali della proteina tau – chiamati aggregati neurofibrillari – all’interno delle cellule nervose, che causano ostacolo alla comunicazione intracellulare e disgregazione delle strutture molecolari che danno sostegno fisico alle cellule stesse; 
  • Atrofia cerebrale, cioè riduzione del volume del cervello dovuta alla perdita di neuroni e sinapsi (le zone di comunicazione tra neuroni). Le aree più colpite dall’atrofia sono l’ippocampo, fondamentale per la memoria, e il lobo temporale
  • Infiammazione cronica che può contribuire ulteriormente al danno neuronale. 
  • Presenza di danno al DNA

Nella maggior parte dei casi, l’insorgenza della malattia di Alzheimer è influenzata da una combinazione di fattori genetici, ambientali e di stile di vita. Sicuramente, la predisposizione genetica gioca un ruolo significativo, tanto che avere un parente stretto con la malattia aumenta il rischio di svilupparla. 

Oltre a questo, tra i fattori di rischio troviamo: 

  • l’età avanzata; 
  • la presenza di altre condizioni come la sindrome di Down, ma anche malattie cardiovascolari (ictus e infarto), obesità, diabete; 
  • l’aver subito traumi cranici. 

La malattia di Alzheimer è ereditaria? 

La maggior parte dei casi di Alzheimer compare in modo sporadico, dunque non c’è una chiara ereditarietà. Come detto, però, esistono fattori genetici che possono aumentare il rischio di sviluppare la malattia.

Il più noto – ma ce ne sono altri – è il gene APOE, in particolare una sua variante chiamata APOE-4. Le persone con una o due copie di questa variante hanno infatti un rischio più elevato di ammalarsi (anche se ci sono persone con due copie di APOE-4 che non si ammalano affatto). Un’altra variante del gene (APOE-2) sembra invece ridurre il rischio di sviluppare Alzheimer. 

Esistono tuttavia anche forme familiari di Alzheimer, che riguardano l’1-5% dei pazienti e in genere compaiono più precocemente. Queste forme sono causate da mutazioni in specifici geni e i principali geni coinvolti sono:  

  • Presenilina-1 (PSEN1); 
  • Presenilina-2 (PSEN2);  
  • Proteina precursore di beta-amiloide (APP). 

Queste forme si trasmettono in modo autosomico dominante: significa che basta una copia mutata del gene a causare la malattia e che un genitore con una di queste mutazioni ha il 50% di probabilità di trasmetterla a ciascuno dei propri figli.  

Perché è importante studiare anche le forme genetiche rare della malattia di Alzheimer? 

Come accade anche nel caso della malattia di Parkinson, studiare le forme genetiche rare dell’Alzheimer può fornire importanti informazioni sui meccanismi della malattia e aiutare a sviluppare trattamenti mirati.

Nonostante siano anche loro estremamente complesse, infatti, le forme genetiche rare rappresentano un modello di studio semplificato. Anche la ricerca Telethon si occupa di questo tipo di studi, come nel caso dei progetti delle ricercatrici Micaela Zonta e Letizia Mariotti.  

La malattia di Alzheimer può essere prevenuta? 

Sono stati identificati alcuni fattori che sembrano in grado di ridurre il rischio di sviluppare l’Alzheimer (ovviamente in forma sporadica) e in particolare: 

  • avere uno stile di vita sano, che preveda sana alimentazione, per esempio di tipo mediterraneo, esercizio fisico regolare, astensione dal fumo. 
  • controllare i fattori di rischio vascolari come il colesterolo alto o l’ipertensione; 
  • mantenere allenato il cervello attraverso la lettura, l’ascolto della musica e le attività sociali. 

Quali sono i trattamenti attualmente disponibili? 

Non esiste ancora una cura risolutiva per la malattia di Alzheimer, per cui il trattamento sintomatico rimane l'approccio principale nella pratica clinica quotidiana. Le due categorie principali di farmaci utilizzate sono gli inibitori della colinesterasi, che promuovono un aumento dei livelli di una molecola coinvolta nella comunicazione tra cellule nervose e gli antagonisti parziali dell'N-metil-D-aspartato (NMDA), che agiscono riducendo un possibile fattore di tossicità neuronale. 

Sono però in fase avanzata di studio o anche in sperimentazione clinica diverse molecole specifiche per il meccanismo biologico della malattia e che potrebbero modificarne il decorso. In particolare, si tratta di molecole in grado di prevenire l’accumulo e l’aggregazione delle proteine beta-amiloide e tau, nella speranza che questo possa impedire la manifestazione della malattia o rallentarne la progressione. Inoltre, sono da segnalare studi di terapia genica della malattia, sempre con l’obiettivo di modificarne la storia naturale agendo su diversi aspetti molecolari. 

Fondamentali nella presa in cura dei pazienti con malattia di Alzheimer sono anche trattamenti non farmacologici che hanno l’obiettivo di rallentare il declino delle funzioni e ridurre i disturbi comportamentali e di personalità e l’isolamento sociale. Tra questi: terapia cognitiva, terapia occupazionale, fisioterapia, pet therapy e altro.  

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