Andrés Muro, ricercatore finanziato con il bando 2020 di Fondazione Telethon, spiega l’approccio del suo studio su questa rara malattia metabolica.
«Per un ricercatore è molto appagante vedere i propri studi in laboratorio sfociare in un’applicazione clinica, che possa migliorare la vita di chi ha una malattia genetica rara. La ricerca scientifica è senza dubbio una passione, ma quando si ha l’opportunità di contribuire al benessere degli altri è il massimo». Andrés Muro, ricercatore del Centro internazionale per l’ingegneria genetica e le biotecnologie (Icgeb) di Trieste, commenta così a caldo il suo recente finanziamento da parte di Fondazione Telethon, nell’ambito dell’edizione 2020 del bando per la ricerca extramurale.
Originario di Buenos Aires, è in Italia fin dal 1992 e da molti anni studia come sfruttare l’ingegneria genetica per correggere difetti responsabili di gravi malattie del fegato, un organo che definisce «un vero bioreattore, che fabbrica proteine non solo per il proprio funzionamento ma anche per l’intero organismo: essendo molto irrorato dal circolo sanguigno, non solo è facile da raggiungere con farmaci di vario tipo, ma può essere sfruttato anche per correggere difetti in organi meno accessibili. Ecco perché da sempre è uno dei bersagli più studiati e sfruttati nel campo della terapia genica o, meglio delle terapie avanzate alla luce del fiorire di nuove strategie a cui abbiamo assistito negli ultimi anni».
Già coinvolto nello sviluppo della terapia genica per la sindrome di Crigler-Najjar, per la quale è in corso uno studio clinico internazionale che coinvolge anche l’Italia, in questo nuovo progetto Telethon Muro si concentrerà sulla malattia di Fabry, una rara patologia metabolica dovuta al deficit di un enzima, la a-galattosidasi A (GLA), responsabile dello smaltimento di particolari molecole (glicosfingolipidi) che, accumulandosi, danneggiano irrimediabilmente le cellule. Cuore e reni sono tra gli organi maggiormente colpiti dalla malattia, che può manifestarsi già a partire dall’infanzia: da circa vent’anni è disponibile una terapia enzimatica sostitutiva, che viene somministrata attraverso un’infusione periodica dell’enzima carente prodotto artificialmente. «Questo farmaco ha migliorato sensibilmente la qualità e l’aspettativa di vita dei pazienti - commenta Muro - ma presenta anche diversi limiti. Oltre al costo elevato, che comporta difficoltà di accesso laddove non ci sia un servizio sanitario nazionale che lo passa, c’è anche il rischio di sviluppare nel tempo anticorpi diretti contro l’enzima artificiale che, di fatto, ne neutralizzano l’effetto terapeutico. Ecco perché è importante che la ricerca vada avanti per trovare nuove soluzioni: grazie a questo nuovo finanziamento Telethon studieremo nel modello animale della malattia di Fabry le potenzialità terapeutiche di un nuovo approccio di editing genetico che ci consenta di correggere in modo stabile il Dna delle cellule del fegato, così da renderle capaci di produrre una versione corretta dell’enzima GLA. Questo permetterebbe non solo di abbassare i costi del trattamento, in quanto richiederebbe un’unica somministrazione, ma anche di aggirare il problema dell’immunità: se prodotta dal fegato del paziente stesso, invece che somministrata dall’esterno, la proteina difficilmente stimolerà la produzione di anticorpi neutralizzanti».
Il sistema che Muro intende impiegare non è però CRISPR/Cas9, ormai noto anche ai non addetti ai lavori dopo il Nobel 2020 per la chimica alle scopritrici Jennifer Doudna ed Emannuel Charpentier, bensì quello della ricombinazione omologa, un processo naturale usato dalle cellule per correggere gli errori a carico del proprio Dna. «Attraverso un vettore virale di tipo adeno-associato (AAV), già ampiamente utilizzato per la terapia genica in vivo di varie malattie genetiche, forniremo alle cellule il gene che codifica per l’enzima GLA fiancheggiato da particolari sequenze di Dna che permettono di “indirizzarlo” verso un punto preciso del genoma, ovvero il gene dell’albumina, una proteina che il fegato normalmente produce in grande quantità. Una volta che il vettore si sarà appaiato al Dna della cellula in corrispondenza di queste sequenze, grazie alla ricombinazione omologa il nostro gene terapeutico verrà inserito in coda a quello dell’albumina e, da quel momento, espresso in modo stabile dalla cellula. Per aumentare la frequenza di ricombinazione, e quindi l’efficienza della nostra correzione, utilizzeremo una molecola già approvata dalla Food and Drug Administration statunitense per altri scopi, che abbiamo visto aumenta anche di 4 volte l’incorporazione del Dna esogeno nel sito stabilito della cellula bersaglio. Una correzione stabile di questo tipo verrebbe trasmessa anche alle cellule figlie e l’effetto terapeutico verrebbe quindi mantenuto anche con la crescita dell’individuo; questo non si ottiene quando il gene terapeutico viene invece veicolato attraverso vettori di tipo AAV, che non si integrano nel patrimonio genetico della cellula ospite e vengono quindi persi quando la cellula si duplica, durante lo sviluppo o nei normali processi di mantenimento e riparazione, per esempio dopo un’infezione al fegato».
Grazie al finanziamento Telethon, nei prossimi tre anni Muro e il suo team potranno quindi studiare le potenzialità di questo nuovo approccio terapeutico: una bella soddisfazione, anche per l’impegno che ci è voluto per ottenerlo. «Avevamo presentato questo progetto anche lo scorso anno, ma i revisori avevano individuato alcune debolezze nel disegno sperimentale e la valutazione non era stata molto alta; grazie però ai loro commenti abbiamo rivisto i punti deboli e questa volta siamo riusciti a ottenere il finanziamento. Una conferma, come se ce ne fosse bisogno, della serietà e del valore del metodo di selezione di Fondazione Telethon: questo ci rende ancora più orgogliosi e motivati nel portare avanti il progetto».