Chi inizia a studiarla, quasi inevitabilmente, continua a farlo per tutta la vita, per provare a dare una risposta a chi ancora oggi non dispone di alcuna cura: è la malattia di Huntington, di cui in questi giorni si celebra in tutto il mondo la giornata di sensibilizzazione e su cui la Fondazione Telethon ha investito ad oggi oltre 5 milioni di euro a sostegno del lavoro degli scienziati impegnati a chiarirne il drammatico quanto affascinante mistero.
Tra loro ci sono Chiara Zuccato dell’Università di Milano e Vittorio Maglione della Fondazione Neuromed di Pozzilli (IS), due dei 45 vincitori dell’ultimo bando per la ricerca extramurale: coetanei, entrambi biologi, si sono conosciuti oltre vent’anni fa nel laboratorio guidato da Elena Cattaneo e fin dall’inizio della loro carriera di scienziati, si sono impegnati capire come e perché un’apparente “ridondanza” nel nostro codice genetico possa portare il cervello alla progressiva e inarrestabile degenerazione, dopo un’apparente latenza. Responsabile della malattia di Huntington è infatti una proteina tossica, chiamata huntingtina, che si forma quando il gene che la codifica presenta un eccessivo numero di ripetizioni di una specifica sequenza di tre nucleotidi, le “lettere” che compongono il Dna.
«Fin dai primi anni Novanta, quando è stato identificato il gene responsabile, ricercatori di tutto il mondo si sono impegnati a studiare i meccanismi alla base di questa malattia genetica che può svelarci molto anche di come funziona il nostro cervello – commenta Zuccato. Passi avanti ce ne sono indubbiamente stati, eppure restano ancora diversi aspetti da chiarire. Oggi sappiamo che questa proteina è importante per lo sviluppo del cervello fin dalla vita embrionale, eppure non è ancora chiaro che cosa succeda durante quella lunga fase in cui la malattia non si manifesta ma in cui il processo degenerativo è già in corso».
Mediamente, infatti, l’esordio è tra i 35 e i 45 anni, con sintomi quali sbalzi d’umore, irritabilità e depressione, via via accompagnati da movimenti involontari che peggiorano progressivamente.
Il progetto di Chiara Zuccato
«Le cellule nervose più colpite sono quelle del circuito cortico-striatale, fondamentale per gli aspetti cognitivi ma anche per il controllo dei movimenti – continua la ricercatrice. Sappiamo che queste cellule iniziano a degenerare anche quando i sintomi della malattia non sono ancora visibili, ma non conosciamo l’evento scatenante su cui eventualmente provare a intervenire farmacologicamente. Grazie a un precedente finanziamento Telethon, abbiamo studiato un enzima, ADAM10, critico per l’adesione delle cellule nervose. Nella malattia di Huntington l’attività di ADAM10 aumenta e questo si traduce in una perdita di adesione tra le cellule nervose, che comunicano sempre peggio tra loro e alla fine muoiono.
Nel nuovo progetto sostenuto da Fondazione Telethon ricostruiremo in vitro il circuito cortico-striatale Huntington e cercheremo di capire se, inibendo l’attività di questo enzima, si possono preservarne la struttura e l’attività».
A rendere complessa la ricerca di una terapia per la malattia di Huntington è il fatto che non bisogna ripristinare una proteina carente, ma neutralizzare l’effetto una proteina mutata tossica. Questo è l’obiettivo del silenziamento genico, approccio terapeutico basato sull’utilizzo di molecole appositamente progettate per bloccare la proteina mutata che causa la malattia. Purtroppo, quello che sembrava l’approccio più promettente per “spegnere” l’huntingtina non ha dato i risultati sperati: è di queste ultime settimane, infatti, l’annuncio dello stop alla sperimentazione clinica sponsorizzata dalla Roche di una terapia a base di oligonucleotidi antisenso, piccoli acidi nucleici disegnati per interferire con la sua sintesi e somministrati direttamente nel liquor cerebrospinale. Per quanto il farmaco si sia dimostrato molto efficace nel ridurre i livelli di huntingtina mutata, questo non si è tradotto in un miglioramento dei sintomi, né in un rallentamento della progressione della malattia.
«Indubbiamente questa non è la notizia che la comunità dei pazienti si attendeva e ne comprendo appieno lo sconforto».
Il progetto di Vittorio Maglione
Accanto agli sforzi e agli investimenti del mondo dell’industria per trovare delle strategie per neutralizzare la proteina tossica, la ricerca di base può contribuire a individuare strade alternative per rallentare il processo neurodegenerativo. È a questo che mira il progetto proposto da Vittorio Maglione, focalizzato sull’acido polisialico, uno zucchero che regola lo sviluppo e la plasticità del cervello, la cui carenza può avere effetti deleteri sul neurosviluppo.
«Sappiamo che l’huntingtina mutata interferisce con la produzione di questo zucchero, che risulta infatti alterata nel cervello di animali modello della patologia e degli stessi pazienti – spiega il ricercatore. In questo progetto cercheremo quindi di capire, nel modello animale, se promuovere farmacologicamente la produzione dell’acido polisialico possa rallentare o mitigare la progressione della malattia».
«Cercheremo quindi di ricostruire a ritroso il processo in tre diversi modelli animali, anche grazie a tecniche di imaging come la PET che ci consentono di monitorare il metabolismo degli zuccheri: potremmo così individuare dei marcatori precoci della progressione della malattia individuabili già nella fase pre-sintomatica, che possano guidarci su quando sia meglio intervenire».
Per Vittorio Maglione questo è il primo finanziamento Telethon e, al riguardo, non nasconde la soddisfazione: «quando ho ricevuto l’e-mail ufficiale mi è mancato il fiato, erano diversi anni che ci provavo, senza successo. Il bando Telethon è molto competitivo, ma grazie ai commenti costruttivi della Commissione medico-scientifica siamo riusciti a migliorare il progetto e a meritare finalmente il finanziamento. Ho cominciato a studiare la malattia di Huntington subito dopo la laurea, ne ho visti gli effetti in persone che oggi purtroppo non ci sono più».