Era il 2006 quando per la prima volta veniva approvato un farmaco per la malattia di Pompe (glicogenosi di tipo II), una versione sintetica dell’enzima carente in questi pazienti prodotto artificialmente e somministrato attraverso il sangue.
Una vera svolta, resa celebre anche dal film “Misure straordinarie” in cui Harrison Ford interpretava il ricercatore che ha messo a punto la terapia grazie anche al supporto del padre di due bambini malati che si era trasformato in un imprenditore. Però non basta, come racconta Giancarlo Parenti, ricercatore dell’Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem) e professore di Pediatria presso l’Università Federico II di Napoli: «La terapia funziona molto bene a livello del cuore, un po’ meno nei muscoli scheletrici, soprattutto con il passare del tempo. È quindi importante sia capire perché questo avviene - come stiamo facendo nei nostri laboratori del Tigem - ma anche provare a mettere a punto strategie alternative o complementari».
È proprio quanto Parenti e il suo team hanno fatto in passato grazie a fondi Telethon, individuando degli chaperon farmacologici, in grado di migliorare la stabilità dell’enzima. Uno studio pilota condotto in un piccolo gruppo di pazienti ne ha confermato l’efficacia: «Adesso il testimone è in mano a un’azienda farmaceutica, quella fondata dal papà raccontato nel film, che sta per avviare uno studio clinico negli Usa e in Europa per valutare su un numero più ampio di pazienti l’efficacia della terapia combinata» continua Parenti. «Altri gruppi stanno invece lavorando alla terapia genica, che mira a fornire una versione sana del gene. Il primo tentativo mediante iniezione diretta nel diaframma, uno dei muscoli meno sensibili alla terapia sostitutiva, ha dato risultati parziali, mentre ci aspettiamo un effetto migliore agendo sulle cellule del fegato, organo “produttore” per eccellenza».
Sul fronte della diagnosi, invece, sarebbe importante che anche la malattia di Pompe venisse inserita nella lista di quelle rilevabili con lo screening neonatale esteso, come già avviene in via sperimentale in regioni come Toscana e Veneto: «Sebbene in maniera meno eclatante rispetto ad altre malattie, anche in quella di Pompe la precocità della diagnosi può fare la differenza nella qualità di vita dei pazienti, permettendo di intraprendere la terapia disponibile appena possibile» conclude il ricercatore.