In occasione della Giornata mondiale sulle mucopolisaccaridosi, facciamo il punto su cosa sono queste malattie, quali i sintomi, la diffusione e su qual è stato il contributo di Telethon.

Mucopolisaccaridosi

Il 15 maggio si celebra in tutto il mondo la Giornata di sensibilizzazione sulle mucopolisaccaridosi, un gruppo di malattie genetiche su cui i ricercatori Telethon sono da sempre molto impegnati. Ad oggi, infatti, sono ben 50 i progetti di ricerca finanziati, per un investimento complessivo di quasi 28 milioni di euro. Ma cosa sono queste malattie e qual è stato il contributo della Fondazione? Scopriamolo insieme. 

Cosa sono le mucopolisaccaridosi? 

Le mucopolisaccaridosi fanno parte di un particolare gruppo di difetti del metabolismo, le malattie da accumulo lisosomiale. Sono malattie ereditarie caratterizzate da un’eccessiva produzione di sostanze tossiche all’interno delle cellule, a causa del malfunzionamento di strutture cellulari chiamate appunto lisosomi.

Questi organelli sono infatti responsabili della degradazione dei prodotti del metabolismo, grazie a un ricco corredo di enzimi che permettono di ridurre svariate sostanze in componenti più piccole, che possono essere così smaltite dalla cellula. Quando però a causa di un difetto genetico uno di questi enzimi non funziona o funziona poco, la specifica sostanza che quella proteina avrebbe dovuto degradare si accumula nelle cellule, con effetti tossici.

Nel caso delle mucopolisaccaridosi, le sostanze che si accumulano a causa del deficit enzimatico sono dei particolari zuccheri chiamati glicosamminoglicani. 

Quanti tipi di mucopolisaccaridosi esistono? 

Ad oggi le mucopolisaccaridosi sono state classificate in otto diversi tipi, in base all’enzima difettoso e alle conseguenze sull’organismo; inoltre, le mucopolisaccaridosi di tipo 3 e di tipo 4 possono essere ulteriormente suddivise in sottotipi.  

Come si trasmettono le mucopolisaccaridosi? 

Nella maggior parte dei casi, le mucopolisaccaridosi si trasmettono con modalità autosomica recessiva. Questo significa che per manifestare i sintomi, occorre ereditare il difetto da ciascuno dei genitori, che pur non manifestando la malattia ne sono portatori sani.

Fa eccezione la mucopolisaccaridosi di tipo 2, che si trasmette invece con modalità recessiva legata all’X. Ad ammalarsi sono soltanto i maschi, figli di donne portatrici sane. 

Quanto sono diffuse le mucopolisaccaridosi? 

L’incidenza delle mucopolisaccaridosi può variare in base al tipo e al background dei pazienti, ma complessivamente è stimata essere di 1 su 25mila. 

Quali sono i sintomi delle mucopolisaccaridosi? 

Nella maggior parte dei casi, i bambini che nascono con una mucopolisaccaridosi non mostrano sintomi alla nascita. Con la crescita, iniziano a manifestare sintomi a carico di diversi organi e apparati (tra cui scheletro, occhi, cervello, cuore). Tipologia e gravità possono variare notevolmente non soltanto in base al tipo di mucopolisaccaridosi, ma anche da un individuo all’altro.

In assenza di intervento, l’aspettativa di vita è comunque ridotta rispetto all’atteso. 

Come avviene la diagnosi delle mucopolisaccaridosi? 

Generalmente la diagnosi delle mucopolisaccaridosi avviene tramite il dosaggio nelle urine dello specifico metabolita che si accumula nella forma in questione.

La conferma può avvenire grazie al test genetico. In molti casi, quanto più la diagnosi è precoce, maggiore è il beneficio che si può trarre dalle terapie disponibili, evitando danni altrimenti irreversibili. Per questo, in diversi Paesi sono stati avviati programmi di screening neonatale per alcune forme di mucopolisaccaridosi. In Italia soltanto per la mucopolisaccaridosi di tipo 1, e non in tutte le Regioni, è previsto questo tipo di test alla nascita.

Tra gli ostacoli all’inserimento di queste malattie nei pannelli di screening, oltre a quelli di natura economica e organizzativa, c’è anche la difficoltà a identificare dei marcatori biologici per un’analisi su larga scala con le tecniche esistenti. 

Quali sono i trattamenti disponibili per le mucopolisaccaridosi? 

Grazie alla ricerca sono state messe a punto diverse opzioni terapeutiche che possono almeno in parte migliorare le manifestazioni cliniche.

Per diverse forme (tra cui la mucopolisaccaridosi di tipo 1, di tipo 2, di tipo 4A e di tipo 6) è disponibile la terapia enzimatica sostitutiva, che consiste nella somministrazione periodica dell’enzima carente. Pur essendo efficace nei confronti di alcuni sintomi, ha il limite di non raggiungere efficacemente tutti gli organi, specialmente il cervello e lo scheletro.

Un’altra opzione terapeutica per alcune forme, come per esempio la 1 e la 4, è il trapianto di cellule staminali ematopoietiche. Tuttavia, è fattibile soltanto in presenza di un donatore compatibile e può dare un’efficacia soltanto parziale, soprattutto se non viene effettuato abbastanza precocemente.

Per alcune forme è inoltre in fase di sperimentazione clinica la terapia genica, che ha l’obiettivo di ripristinare una versione corretta del gene difettoso.

La ricerca Telethon è in prima linea al riguardo. Al momento ci sono infatti ben due protocolli di terapia genica in fase di sperimentazione sull’uomo nati nei laboratori degli Istituti Telethon, rispettivamente per la forma più grave di mucopolisaccaridosi di tipo 1 (detta anche sindrome di Hurler o MPS 1H) e per quella di tipo 6. 

Qual è il contributo di Telethon alla cura delle mucopolisaccaridosi? 

Ad oggi la Fondazione ha finanziato ben 50 progetti di ricerca su varie forme di mucopolisaccaridosi, per un investimento complessivo di quasi 28 milioni di euro. Accanto a studi di base che hanno permesso di contribuire alla conoscenza sui meccanismi alla base di questi difetti ereditari del metabolismo, i ricercatori Telethon stanno dando un contributo importante anche dal punto di vista dello sviluppo di nuove terapie.   

La risposta del Tiget

Nel caso della sindrome di Hurler, o MPS 1H, i ricercatori dell’Istituto San Raffaele-Telethon di Milano hanno messo a punto una terapia genica di tipo “ex vivo”, effettuata sulle cellule staminali del sangue prelevate dal paziente e messe a contatto con un vettore virale contenente una o più copie del gene sano. Una volta corrette, le cellule vengono reinfuse perché possano ripristinare la produzione dell’enzima carente.

La sperimentazione sui primi 8 pazienti è stata avviata nel 2018. A fronte dei primi risultati promettenti, l’azienda sponsor dello studio ha deciso all’inizio del 2024 di ampliarlo coinvolgendo un maggior numero di pazienti, con l’obiettivo di portare la terapia alla registrazione (scopri anche le storie di alcuni dei bambini trattati, come Arshida e Ewen).  

Forti dell’esperienza maturata nel settore, i ricercatori dell’SR-Tiget stanno lavorando per applicare questo tipo di terapia genica anche alla mucopolisaccaridosi di tipo 4. Per cercare di ottimizzare tempi e costi e arrivare più velocemente alla sperimentazione nell’uomo, i ricercatori hanno adottato un approccio “in parallelo”, che prevede l’utilizzo dello stesso sistema di trasferimento genicoe, per quanto possibile, gli stessi test di sicurezza ed efficacia per malattie diverse (a cambiare sarà soltanto il gene trasferito, specifico per ogni singola malattia). 

Il contributo del Tigem

All’Istituto Telethon di genetica e medicina (TIGEM) di Pozzuoli è stata messa a punto invece una terapia genica per la mucopolisaccaridosi di tipo 6, questa volta di tipo “in vivo”. Questo significa che il vettore virale contenente la versione sana del gene viene iniettato direttamente nel sangue, attraverso il quale riesce a raggiungere il fegato che diventa così una “fabbrica” di enzima funzionante.

La sperimentazione sui primi 9 pazienti, avviata nel 2017, ha dato buoni risultati. Specialmente nei pazienti trattati con la dose di vettore più alta, che hanno mostrato espressione dell’enzima e stabilità clinica per un periodo fino a 4 anni (scopri anche le storie di alcuni dei bambini trattati, come Alba e Yvonne). 

Inoltre, sempre al TIGEM i ricercatori stanno lavorando a una nuova possibile terapia farmacologica per la mucopolisaccaridosi di tipo 3A, una delle più gravi e attualmente priva di opzioni terapeutiche efficaci. Si tratta in particolare di due molecole attualmente in uso per altre indicazioni che i ricercatori propongono di “reindirizzare” su questa malattia.

Alla luce degli studi preclinici in laboratorio, le due molecole si sono infatti rilevate in grado rispettivamente di favorire l’eliminazione di metaboliti tossici dalle cellule e di migliorare la sintomatologia neurologica e comportamentale dei pazienti.   

Il tuo browser non è più supportato da Microsoft, esegui l'upgrade a Microsoft Edge per visualizzare il sito.