L’Istituto Telethon di genetica e medicina di Pozzuoli lavora su un protocollo di terapia genica l’MPS 6 e l’MPS 3A.
Il 15 maggio ricorre in tutto il mondo la giornata mondiale delle mucopolisaccaridosi, gravi malattie genetiche caratterizzate da specifiche carenze enzimatiche che si traducono nell’accumulo di diversi metaboliti, i mucopolisaccaridi. L’Istituto Telethon di genetica e medicina di Pozzuoli (Tigem) è da sempre molto impegnato nello studio dei meccanismi alla base di queste malattie e nella messa a punto di possibili strategie terapeutiche.
Il team di Alberto Auricchio ha messo a punto, dopo anni di studi, un protocollo di terapia genica per la mucopolisaccaridosi di tipo 6. Rispetto alla terapia enzimatica sostitutiva, la terapia genica avrebbe il vantaggio di essere meno invasiva: è un trattamento una tantum, mentre la terapia enzimatica prevede un’infusione ogni settimana per tuttala vita. Questa terapia genica impiega vettori di tipo adeno-associato (AAV) che, una volta introdotti nel sangue, raggiungono il fegato che produrrà l’enzima. In questo modo viene fornito il gene corretto, in grado di ripristinare la funzione dell’enzima ed evitare così l’accumulo del suo substrato nell’organismo.
La sperimentazione clinica, coordinata da Nicola Brunetti-Pierri, è iniziata nell’ottobre del 2017 presso il Dipartimento Materno-Infantile dell’Azienda Universitaria Federico II di Napoli e prevede il coinvolgimento di pazienti di età superiore ai 4 anni. Oltre alle condizioni generali del paziente, un fattore importante per l’inclusione nello studio è l’assenza di anticorpi che potrebbero neutralizzare il vettore, dal momento che esso deriva da un virus non-patogeno con il quale è possibile venire in contatto. Ad oggi sono 7 i pazienti che hanno ricevuto il farmaco sperimentale che è stato in tutti ben tollerato e ha portato nella maggioranza dei casi all’espressione a lungo termie dell’enzima; sono in corso ulteriori valutazioni per stabilire anche l’efficacia clinica.
Sempre al Tigem, il team di Alessandro Fraldi sta studiando in laboratorio due possibili strategie terapeutiche per la mucopolisaccaridosi di tipo 3A, per la quale al momento non esistono trattamenti risolutivi.
La prima consiste in un approccio di terapia genica, che alla luce delle conoscenze attuali sui meccanismi della malattia risulta essere l’approccio più promettente per bloccare la neurodegenerazione. La sfida maggiore in questo caso è rappresentata dal fatto che per raggiungere il cervello, l’organo maggiormente colpito dalla malattia, la proteina terapeutica deve superare la barriera ematoencefalica, che in condizioni normali lo protegge da parte di sostanze e agenti estranei. Per ovviare a questo ostacolo altri ricercatori nel mondo hanno proposto di iniettare il gene terapeutico direttamente nel cervello: questa strategia, già in fase di sperimentazione clinica, si è dimostrata in grado di migliorare le condizioni dei pazienti finora trattati, ma al contempo è molto invasiva. Fraldi e il suo gruppo stanno quindi studiando approcci di terapia genica alternativi, che impiegano vettori virali AAV in grado di produrre un enzima leggermente modificato in modo da aumentarne il suo potenziale terapeutico. In uno di questi approcci i vettori AAV vengono iniettati nel circolo sanguigno raggiungendo il fegato, che quindi inizia a produrre e rilasciare nel sangue un enzima modificato in grado di essere “accettato” dalla barriera ematoencefalica e quindi di raggiungere il suo organo bersaglio, il cervello. In un altro approccio, invece, i vettori AAV vengono iniettati nel liquido cerebrospinale che circonda il cervello. Questi vettori mediano la produzione da parte delle cellule nervose infettate di un enzima modificato in grado di essere secreto a livelli molto alti, e quindi di distribuirsi in aree del sistema nervoso centrale distanti da quelle direttamente infettate dal virus.
Un’altra possibile strategia per contrastare il danno che si osserva nei pazienti è quella molecolare, mutuata dagli studi su altre patologie neurodegenerative, come per esempio quella di Alzheimer: un fenomeno che accumuna queste malattie anche con la MPS 3A è il progressivo accumulo di proteine tossiche di tipo amiloide, che nel tempo si aggregano e portano alla morte dei neuroni. In collaborazione con il gruppo di Gal Bitan dell’Università della California, i ricercatori del Tigem hanno individuato una molecola in grado di prevenire l’accumulo di proteine tossiche e la loro aggregazione: somministrata nel modello animale, questa molecola (CLR01) si è dimostrata in grado di contrastare in modo efficace il danno neurologico. Nel prossimo futuro si prevede di testarla in pazienti con malattia di Alzheimer e potenzialmente anche per diverse malattia da accumulo lisosomiale come la MPS 3A e non solo.
Infine sono in corso studi preliminari anche su un’altra rarissima forma di mucopolisaccaridosi, quella di tipo 7, nota dall’inizio degli anni Settanta e per la quale ad oggi sono stati descritti meno di 40 casi (anche probabilmente a causa di difficoltà nella diagnosi). Il gruppo di Carmine Settembre studia in particolare gli effetti della malattia sull’apparato scheletrico e su come il malfunzionamento dei lisosomi abbia un impatto sulla crescita ossea. Chiarendo questi meccanismi, i ricercatori mirano a identificare molecole in grado di impedire l’accumulo di sostanze tossiche o, viceversa, favorirne lo smaltimento: nel loro mirino c’è una proteina chiamata mTORC1 che controlla la crescita delle ossa e la cui attività risulta alterata nei pazienti affetti dalla MPSVII. Ripristinare l’attività di mTORC1 potrebbe dunque rivelarsi una strategia efficace per ripristinare una corretta formazione e crescita ossea.