L'Rna è al centro di alcuni tra i più innovativi approcci terapeutici anche per malattie genetiche rare. Scopriamo il suo ruolo nei progetti di Claudia Bagni sulla sindrome dell’X fragile e Andrea Barberis su alcune forme di epilessia.
Tra le parole di scienza che abbiamo imparato a conoscere nell'anno e più di pandemia di Covid-19 c'è una brevissima sigla: Rna. Sono le iniziali di un'espressione inglese che sta per acido ribonucleico, un parente stretto del Dna coinvolto su più fronti nella gestione dell'informazione genetica. Proprio su un tipo particolare di Rna si basano i due vaccini anti-Covid arrivati per primi sulla scena mondiale, i vaccini di Pfizer-Biontech e Moderna, ai quali abbiamo in gran parte affidato la speranza di bloccare la diffusione del virus che ci ha cambiato la vita.
L'arrivo sul mercato di questi vaccini in tempi straordinariamente brevi è stata una chiara manifestazione del valore inestimabile della ricerca scientifica, nonché l'esito della crescente attenzione che da circa vent'anni enti di ricerca, compagnie biotecnologiche e industrie farmaceutiche hanno dedicato alla possibilità di sviluppare terapie basate su Rna. Un'attenzione che ha spesso riguardato l'ambito delle malattie genetiche rare, tanto che proprio per alcune di queste, come l'amiloidosi da transtiretina o l'atrofia muscolare spinale (Sma), sono già disponibili terapie di questo tipo. E anche diversi ricercatori Telethon stanno lavorando a possibili approcci terapeutici basati su Rna. Scopriamo in particolare i progetti di ricerca di Claudia Bagni e Andrea Barberis, appena finanziati con l’ultimo bando generale di Fondazione Telethon.
Una molecola, tante funzioni
Prima della pandemia più o meno tutti conoscevamo il Dna come molecola fondamentale per la vita: il nostro “libretto di istruzioni genetiche”. Anche nel linguaggio comune capita di riferirci al Dna, in espressioni come “è nel mio Dna” per indicare qualcosa che ci appartiene profondamente o a cui siamo molto interessati. L'Rna è sempre stato meno noto al grande pubblico, anche perché spesso la stessa comunità scientifica tendeva a presentarlo come molecola quasi secondaria: un “semplice” intermediario di informazione tra il Dna e le proteine. Questo, però, è il ruolo di un solo tipo di Rna, l'Rna messaggero (mRna), che ha appunto la funzione di trasferire l'informazione contenuta in un gene (fatto di Dna) al macchinario cellulare che costruisce la proteina corrispondente.
Già questo non è poco, ma con il tempo si è scoperto che gli mRna costituiscono solo una minima parte degli Rna cellulari e che ci sono molti altri tipi di Rna che svolgono varie funzioni fondamentali. Per esempio partecipano attivamente alla costruzione delle proteine, velocizzano alcune reazioni chimiche, regolano l'espressione dei geni – cioè il fatto che siano accesi o spenti e l'intensità con la quale sono accesi – regolano la funzione di altri Rna. Secondo un'accreditata ipotesi, l'Rna sarebbe addirittura all'origine della vita, nel senso che potrebbero essere state di Rna le prime molecole depositarie di informazione genetica comparse sulla Terra.
Riassume con entusiasmo Claudia Bagni, professoressa di biologia applicata e genetica all'Università di Roma Tor Vergata e direttrice del Dipartimento di neuroscienze fondamentali dell'Università di Losanna, tra i vincitori del bando generale di Fondazione Telethon con un progetto su una terapia a Rna per la sindrome dell'X-fragile.
Proprio la grande varietà di funzioni dell'Rna ha spinto a cominciare a pensare a un suo possibile ruolo terapeutico, fino all'eccezionale risultato dei vaccini anti-Covid.
I primi vaccini a Rna messaggero
Compito dei vaccini è presentare all'organismo una versione non pericolosa di specifici agenti patogeni (virus o batteri) in grado di allertare il sistema immunitario, rendendolo pronto a combatterli in modo efficace se mai dovessero presentarsi nella loro versione naturale e aggressiva. Questa “versione non pericolosa” può essere costituita da virus o batteri morti o inattivati, oppure da loro singole componenti, in genere proteine che si trovano sulla loro superficie. Nel caso dei vaccini anti-Covid di Pfizer-Biotentech e Moderna, quello che viene trasferito è invece l'Rna messaggero che codifica per una proteina presente sulla superficie del Sars-Cov-2. Dopo la vaccinazione, sarà quindi l'organismo a produrre la proteina responsabile dell'attivazione del sistema immunitario.
«Un grande vantaggio di questo approccio è la flessibilità» commenta Bagni. «Se il virus muta (come è successo per il Sars-Cov-2 nel caso della famosa variante inglese) basta cambiare la sequenza dell'mRna per avere in tempi rapidi un nuovo vaccino specifico per la variante mutata».
Sulla carta sembra facile e viene da chiedersi perché non ci siamo arrivati prima, ma il fatto è che le molecole di mRna sono molto fragili e tendono a degradarsi facilmente. Inoltre, per via delle dimensioni (non piccolissime) e del tipo di carica elettrica che le riveste fanno fatica a entrare nelle cellule. «Per usarle come vaccini o pensare di usarle come molecole terapeutiche si è dovuto trovare un modo per veicolarle, integre, là dove servono» spiega Bagni. La soluzione al problema è stata l'inserimento delle molecole di Rna all'interno di nanoparticelle lipidiche: piccolissime goccioline di grassi che proteggono il loro prezioso carico ma vengono anche facilmente inglobate dalle cellule. «Mettere a punto la giusta miscela di grassi in grado di svolgere questi compiti senza provocare effetti collaterali importanti ha richiesto lunghi anni di lavoro».
Una possibile nuovo approccio terapeutico basato su mRna per la sindrome dell'X fragile
Oltre ai vaccini per il Covid, sono allo studio anche vaccini a mRna per altre malattie, dalla rabbia all'influenza ai tumori. E lo stesso approccio può essere utilizzato per malattie genetiche rare causate dalla mancanza di una proteina. «In questo caso l'obiettivo è far produrre all'organismo del paziente proprio quella proteina, attraverso l'Rna messaggero corrispondente» afferma Bagni, che in collaborazione con l'azienda Moderna sta utilizzando proprio questo approccio come possibile strategia terapeutica per la sindrome dell'X fragile, la forma più frequente di disabilità intellettiva di tipo ereditario, spesso associata ad autismo.
La sindrome è causata da mutazioni nel gene FMR1 che impediscono la produzione della proteina FMRP, una proteina critica per lo sviluppo e il corretto funzionamento delle cellule nervose. Il nuovo progetto Telethon di Claudia Bagni punta a ripristinare la produzione di FMRP fornendo l'Rna messaggero che codifica per la proteina.
«Lo faremo sia in linee cellulari di pazienti sia in modelli animali della sindrome dell'X fragile, verificando che cosa succede dopo l'introduzione dell'mRna a livello molecolare, cellulare e, negli animali, comportamentale». A chi si stia chiedendo perché non provare invece un approccio di terapia genica (che prevede l'inserimento nelle cellule del paziente di una versione corretta del gene coinvolto nella malattia, come si è fatto per ADA-SCID e leucodistrofia metacromatica), Bagni risponde che non sempre un approccio efficace in un caso lo è anche in un altro. Il gene responsabile della sindrome dell'X fragile ha un struttura molto complessa ed è veramente difficile pensare di sostituirlo con terapia genica.
Potenziare il messaggero nelle epilessie causate da mutazioni del gene GABRA1
Se per alcune malattie genetiche rare quello che potrebbe servire è un mRna in grado di sostituire quello mancante o non funzionante, per altre potrebbe invece servire il potenziamento di un Rna messaggero già presente.
È quello che punta a fare il biofisico Andrea Barberis dell'Istituto italiano di tecnologia di Genova, anche lui tra i vincitori dell'ultimo bando generale di Fondazione Telethon, con un progetto di ricerca sulle epilessie causate da mutazioni del gene GABRA1, che svolgerà in collaborazione con Stefano Gustincich e Federico Zara. «Il funzionamento del cervello è dato dall'equilibrio tra due forze che potremmo considerare in opposizione: l'eccitazione e l'inibizione delle cellule nervose» spiega Barberis.
«L'epilessia è la manifestazione di un eccesso di scariche eccitatorie, un eccesso che in alcune forme dipende da carenze sul fronte dell'inibizione. Proprio quello che accade nelle epilessie genetiche causate da mutazioni del gene GABRA1, che si traducono in una carenza della proteina GABAA, coinvolta nella trasmissione di segnali inibitori». Dunque la proteina c'è, ma non in quantità sufficienti e da qui l'idea di cercare di farne produrre di più alle cellule attraverso un potenziamento dell'espressione dell'mRna corrispondente.
«Cercheremo di farlo con molecole di Rna chiamate Sineup che normalmente svolgono una funzione regolatoria. In pratica esse aumentando l'efficienza con la quale l'mRna entra in contatto con il macchinario cellulare che serve per la costruzione di proteine». Barberis e colleghi hanno in programma di testare questo approccio sia con modelli cellulari derivati da cellule di pazienti, sia con modelli animali, con una serie di esperimenti che permetteranno di verificare se la somministrazione di Sineup specifici aiutano a far risalire i livelli di proteina GABAA e a ridurre frequenza e intensità delle crisi epilettiche.
Le possibili applicazioni terapeutiche dell’Rna comunque non finiscono qui. Torneremo a parlarne nelle prossime settimane!