Nella Giornata mondiale della donazione una riflessione sulla possibilità in futuro di produrre in laboratorio questo tessuto così importante per la cura di tante malattie, genetiche e non.
Oggi in tutto il mondo si celebra la donazione del sangue, gesto altruistico per eccellenza che consente di salvare milioni di vite: si è calcolato che nel mondo circa ogni 2 secondi qualcuno ha bisogno di sangue. Le trasfusioni rappresentano infatti una terapia salvavita in numerosi casi, da eventi traumatici quali incidenti o interventi chirurgici al trattamento di patologie croniche come la talassemia, oppure per supportare i pazienti oncologici sottoposti a chemioterapia.
In Italia, secondo il Centro nazionale sangue le donazioni sono circa 3 milioni all’anno e garantiscono le trasfusioni a circa 630mila persone, ovvero 8.219 al giorno, 342 all’ora e 5,7 al secondo. Numeri che sottolineano quanto siano oggi irrinunciabili e come sia importante continuare a promuoverne la cultura. Ma è possibile immaginare un futuro in cui il sangue possa essere prodotto, almeno in parte, artificialmente? Ne abbiamo parlato con Andrea Ditadi, ricercatore dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (SR-Tiget) di Milano, che con il suo gruppo studia i meccanismi con cui questo tessuto si forma fin dalla vita embrionale, quando l’individuo non è che un pugno di cellule che possono trasformarsi in tutte le componenti dell’organismo.
«Produrre il sangue in vitro - commenta il ricercatore - è una sfida affascinante che inseguono da anni ricercatori da tutto il mondo, ma è davvero molto complessa, per tante ragioni. Chiariamo innanzitutto che nella maggioranza dei casi con “sangue artificiale” intendiamo qualsiasi sua componente cellulare, globuli rossi, globuli bianchi o piastrine per esempio, prodotta in vitro, da zero oppure a partire da materiale biologico donato che viene espanso in laboratorio per ottenerne grandi quantitativi. La prima grande difficoltà sta innanzitutto nel fatto che attualmente conosciamo soltanto in parte come il sangue si forma, nelle varie fasi della nostra vita: nella vita post-natale il punto di partenza sono sempre le cellule staminali ematopoietiche, che dietro precisi stimoli si differenziano e danno vita ai vari tipi di cellule. Un processo che è molto diverso durante la vita embrionale, quando la quantità di ossigeno nel ventre materno è limitata e le cellule si formano e si riproducono a grande velocità e con modalità diverse perché il nuovo organismo deve svilupparsi, rispetto alla vita adulta, quando invece le cellule staminali all’interno del midollo osseo sono più “quiescenti” e si attivano soltanto in caso di necessità. Ricostruire tutti questi passaggi, gli stimoli a cui le cellule staminali rispondono, non è semplice, ma è fondamentale se vogliamo provare a replicare in laboratorio la produzione del sangue in modo efficace ed efficiente».
Un’altra grossa difficoltà sta nel replicare in vitro l’ambiente in cui il sangue si forma: localizzato all’interno delle ossa lunghe e di quelle piatte del bacino, il midollo osseo è un tessuto complesso, dove non ci sono soltanto le cellule staminali ematopoietiche, ma almeno altri 5-6 tipi cellulari che concorrono alla formazione dei diversi elementi del sangue. «Ad oggi - continua Ditadi - nessun esperimento in laboratorio può riprodurre fedelmente questa complessità. Certamente siamo in grado di indurre le staminali a differenziarsi in vitro in uno specifico tipo cellulare che vogliamo, ma non siamo certi che quella cellula che abbiamo prodotto in vitro una volta immessa nell’organismo si comporti esattamente come il suo analogo “naturale”, che è stato istruito dall’ambiente circostante».
Approfondire la conoscenza sul comportamento delle staminali ematopoietiche permetterà di fare un passo oltre in chiave terapeutica: produrre in vitro cellule del sangue modificate, grazie per esempio alla terapia genica o all’editing genetico, per conferire loro delle proprietà o per potenziare quelle esistenti nei confronti di un tumore, di un agente patogeno o delle conseguenze di un difetto genetico. O ancora, per migliorare sicurezza ed efficacia di uno dei trattamenti salvavita più importanti basati sulle staminali ematopoietiche, ovvero il trapianto.
«Grazie al supporto di Fondazione Telethon nei prossimi anni cercheremo di capire meglio il processo di produzione del sangue nella fase embrionale della vita, quando le staminali ematopoietiche sono particolarmente attive e capire se queste informazioni possono esserci utili per migliorare la nostra capacità di produrre in vitro cellule del sangue. Quello della quantità, infatti, è un altro dei limiti da superare: perché davvero il “sangue artificiale” possa contribuire concretamente alla medicina del futuro bisogna anche riuscire a produrlo in grandi quantità, con un adeguato livello di sicurezza e a costi sostenibili. Allo stato attuale siamo quindi molto lontani da un’applicazione concreta nella pratica clinica: le donazioni restano fondamentali ed è molto importante promuoverne l’importanza, così quella della ricerca di base che può aprirci nuovi scenari futuri».