Marco Agostino Deriu del Politecnico di Torino costruirà al computer un modello rappresentativo della struttura della proteina che causa la paralisi spastica ascendente ereditaria ad esordio infantile (IAHSP) per indirizzare in modo più mirato la ricerca su potenziali strategie terapeutiche.
Tutto è cominciato con l’e-mail di due genitori colpiti duramente dalla notizia della diagnosi di una malattia grave e quasi sconosciuta che ha colpito la loro bambina: è il 5 ottobre 2019 quando Simone e Sara apprendono che la loro figlia Olivia, di soli due anni, è affetta da una malattia genetica di cui si conoscono poche decine di casi nel mondo e che le porterà presto via la capacità di muoversi autonomamente, la paralisi spastica ascendente ereditaria ad esordio infantile (IAHSP).
A questa coppia di genitori appare subito chiaro che di fronte a una malattia così rara e su cui si sa ancora così poco la ricerca scientifica è l’unica strada per provare a dare un’opportunità a Olivia e agli altri bambini come lei. Fondano un’associazione a lei dedicata, Help Olly, e iniziano a contattare gruppi di ricerca che potrebbero essere interessati a studiare come e perché si sviluppa questa malattia. Tra i ricercatori che rispondono all’appello c’è Marco Agostino Deriu, bioingegnere del Politecnico di Torino che da diversi anni sfrutta la potenza di calcolo per costruire modelli di sistemi biologici complessi e predirne il comportamento.
«La storia di Olivia - spiega il ricercatore - mi ha coinvolto subito dal punto di vista umano, ma anche da quello scientifico. La proteina che in lei risulta mutata, l’alsina, è infatti un vero rompicapo: non solo è molto complessa, ma si sa ancora poco sulle relazioni struttura-funzione che ne caratterizzano i meccanismi fiosio-patologici. Da diversi anni mi occupo di costruire modelli computazionali di proteine associate a svariate patologie neurodegenerative, come per esempio la beta amiloide che si accumula nella malattia di Alzheimer, ma anche proteine responsabili, quando alterate, di malattie genetiche rare come le atassie spino-cerebellari. Ho quindi deciso di cogliere questa sfida e provare a sviluppare un modello dell’alsina e di renderlo disponibile per chiunque voglia cimentarsi nella ricerca di potenziali molecole o altre strategie molecolari in grado di correggerne il comportamento, come per esempio la terapia genica».
Deriu si è poi aggiudicato i fondi che l’associazione Help Olly ha messo a disposizione attraverso l’iniziativa Spring Seed Grant, in collaborazione con Fondazione Telethon, per iniziare a studiare questa rara malattia: un primo “seme” che auspicabilmente possa promuovere l’interesse della comunità scientifica al riguardo. «Oggi la potenza di calcolo ci consente di simulare la struttura delle proteine e di studiarne la loro dinamica conformazionale fino al massimo livello di dettaglio, quello atomico. Ogni proteina - continua il ricercatore - è costituita da una sequenza di “mattoncini”, gli aminoacidi, che assume una precisa conformazione spaziale: a volte basta la mutazione di una singola lettera del Dna per far sì che nella sequenza proteica sia inserito un altro aminoacido e che proprio a causa di questo minimo cambiamento la forma della proteina si alteri irrimediabilmente, con conseguenze dannose sulla cellula e sull’organismo (in rosso nella figura, ndr).
Sembra incredibile, ma sono numerosi gli esempi di questo tipo, basti pensare all’osteogenesi imperfetta o all’anemia falciforme. Questo è avvenuto probabilmente anche nel caso di Olivia, ma ancora non sappiamo come e perché: costruire al calcolatore un modello affidabile e rappresentativo con buona probabilità della struttura reale della proteina potrà aiutarci a capirlo e a guidare in modo più mirato la ricerca su potenziali strategie terapeutiche. Il nostro approccio non è alternativo a quello sperimentale, ma complementare: insieme possiamo risparmiare tempo e risorse, indirizzando gli esperimenti in laboratorio».
Tra gli obiettivi esplicitati da Deriu nel suo progetto, infatti, c’è proprio la disseminazione dei risultati, per far conoscere il più possibile questa proteina e le sue implicazioni per la salute umana all’interno della comunità scientifica: «coinvolgendo colleghi di discipline diverse – biologi, chimici, fisici, ma anche medici naturalmente – speriamo di far crescere l’interesse al riguardo e di fare in modo che sempre più gruppi di ricerca se ne interessino e inizino a studiarla dal loro punto di vista. La conoscenza genera altra conoscenza e non escludo affatto che i risultati del nostro studio su questa proteina, che oggi sappiamo essere alterata soltanto in poche decine di pazienti al mondo, si rivelino utili anche per comprendere meglio i meccanismi molecolari di altre patologie neurodegenerative più diffuse».