In occasione della giornata mondiale dedicata a questo raro difetto del sistema nervoso autonomo, Diego Fornasari dell’Università di Milano racconta come, grazie a Telethon, sta studiando un nuovo possibile approccio terapeutico.
Respirare è un’attività fondamentale del nostro organismo, ma per fortuna non dobbiamo ricordarci di farlo: ci pensa la porzione autonoma del nostro sistema nervoso, che presiede numerose funzioni vitali che procedono indipendentemente dalla nostra volontà.
In rari casi, però, qualcosa può incepparsi, come nel caso della rarissima sindrome da ipoventilazione centrale congenita (CCHS), di cui oggi si celebra la Giornata mondiale. A causa di un raro difetto genetico, queste persone hanno fin dalla nascita un difetto nel controllo della respirazione da parte del sistema nervoso autonomo: di giorno respirano normalmente, ma quando dormono vanno incontro a ipoventilazione, cioè a una riduzione della frequenza del respiro che talvolta può risultare fatale. La sindrome è detta anche “di Ondine”, su ispirazione della leggenda tedesca della ninfa Ondine e della sua maledizione contro il marito infedele, facendogli “dimenticare” di respirare una volta addormentato.
La sindrome di Ondine/CCHS è molto rara: secondo l’Associazione AISICC – nata nel 2003 a Firenze per iniziativa di alcune famiglie e da molti anni parte delle Associazioni in rete di Telethon – in Italia sono una sessantina i casi noti, circa 2000 in tutto il mondo. Ad oggi nessun trattamento farmacologico è risultato efficace: l’unica opzione disponibile è rappresentata dai supporti per la ventilazione meccanica. Grazie alla ricerca, però, la storia potrebbe cambiare: ce lo racconta Diego Fornasari, professore associato di Farmacologia all’Università di Milano.
Dal gene responsabile...
«Il mio incontro con questa sindrome risale al 1998, quando durante un congresso a Berlino mi sono imbattuto nel lavoro di un gruppo francese che aveva appena scoperto due proteine, PHOX2A e PHOX2B, importanti per la regolazione del sistema nervoso autonomo, che era anche il mio ambito di interesse. Iniziammo a collaborare, scoprendo presto che quelle nuove proteine erano importanti per l’espressione di proteine in studio nel mio laboratorio, i recettori nicotinici. Cinque anni dopo si è scoperto che PHOX2B, quando mutato, era il gene responsabile della sindrome di Ondine e il “cerchio” attorno a me si è stretto. Prima una collega dell’Istituto Gaslini di Genova, Isabella Ceccherini, che ha contribuito alla scoperta di PHOX2B come gene-malattia e ha messo a punto il test genetico, ci ha fornito diversi campioni di pazienti con questo difetto genetico da studiare. Parallelamente, mi ha contattato l’associazione italiana dei pazienti (AISICC) perché iniziassi a studiare i meccanismi della sindrome, anche con il loro supporto economico. Da allora, non ho mai smesso di occuparmene».
Negli anni, il gruppo di Fornasari ha ottenuto finanziamenti anche da Telethon: il progetto in corso, finanziato all’inizio del 2023, è focalizzato su una particolare molecola di RNA, per capire se possa essere un bersaglio terapeutico utile in questa sindrome. Si tratta di una lunga molecola di RNA non codificante, che non serve cioè a trascrivere il gene per produrre la proteina che codifica, ma per “segnalare” alla cellula quanta proteina produrre.
...al bersaglio terapeutico
Dopo averla individuata all’interno di una banca dati, Fornasari e il suo team si sono quindi chiesti se questa molecola – chiamata PHOX2B-AS1 – possa essere un bersaglio terapeutico utile: abbassandone i livelli, si potrebbe ridurre anche la quantità di proteina mutata tossica?
«Per farlo abbiamo generato due linee cellulari derivate da cellule di pazienti con CCHS, grazie alla tecnica scoperta dal premio Nobel Yamanaka che consente di far tornare cellule adulte allo stadio staminale, per poi reindirizzarle verso un tessuto di interesse – spiega Fornasari. Le mutazioni responsabili di questa sindrome non sono tutte uguali, danno quadri clinici anche molto diversi: è quindi importante avere più modelli da studiare, su cui in futuro testare anche dei farmaci candidati. Peraltro, essendo un disturbo del sistema nervoso autonomo, ha un impatto anche su altri organi, come per esempio l’apparato gastrointestinale. Le implicazioni di carattere respiratorio sono comunque quelle più pericolose, che possono mettere a rischio la sopravvivenza: sono quindi queste quelle su cui ci stiamo concentrando».
A volte, poi, anche il caso ci mette lo zampino: come quando qualche anno fa due pazienti francesi hanno mostrato dei significativi miglioramenti della funzionalità respiratoria dopo aver assunto un farmaco contraccettivo, il desogestrel. Come ricorda il ricercatore, «è stato un vero episodio di serendipità, ma da scienziati non ci siamo accontentati e abbiamo cercato di capire se quanto osservato non fosse casuale ma avesse delle basi biologiche. Studiando gli effetti del desogestrel nei modelli in vitro abbiamo visto che è in grado di regolare negativamente l’espressione del gene PHOX2B, e quindi di ridurre la quantità di proteina prodotta, sia tossica che sana. Si è poi visto che questo effetto è comune anche ad altri contraccettivi a base di progesterone: il prossimo passo sarà cercare di capire quale sia il più adatto, ma anche se esista una molecola analoga ma senza gli effetti ormonali che ne impedirebbero l’uso nei pazienti maschi. Manca ancora comunque uno studio clinico vero e proprio sull’uomo; quindi, raccomandiamo cautela e sconsigliamo il “fai da te”».
La sindrome di Ondine è anche un ottimo esempio di come una malattia estremamente rara possa dare informazioni molto utili di carattere più generale. Come spiega Fornasari, «ci ha permesso di scoprire aspetti nuovi del nostro sistema respiratorio. Per esempio, è soltanto studiando questa sindrome che è stato individuato anche nell’uomo un gruppo di cellule nervose, chiamato nucleo retro-trapezoide, che funziona come sensore dell’anidride carbonica. Nei pazienti con CCHS è compromesso ed è proprio a causa dell’incapacità di sentire questo gas che i pazienti vanno incontro a ipoventilazione, soprattutto di notte. Scoprirlo in questa malattia ha aperto nuovi filoni di studio nel campo della respirazione e della neurobiologia: è solo uno degli esempi che confermano quanto la ricerca di base sulle malattie rare sia importante, anche per l’impatto che può avere in altri ambiti. Per questo è fondamentale il ruolo della Fondazione Telethon e di tutte le persone che l’hanno sostenuta e che – auspicabilmente! – continueranno a farlo in futuro».