Finanziato il suo studio su una malattia della famiglia delle ceroidolipofuscinosi neuronali. Come incentivo ai giovani, il finanziamento prevede anche la copertura del salario per tutta la durata del progetto.
Soprattutto in Italia, per i ricercatori più giovani non è sempre possibile competere con colleghi affermati per l’assegnazione di fondi di ricerca, a causa della loro condizione di grande precarietà lavorativa. Eppure, i giovani sono spesso portatori di idee brillanti, innovative, audaci: idee che è davvero limitante trascurare.
Proprio per dare l’opportunità ai giovani di mettersi in gioco con qualche sicurezza in più, Fondazione Telethon ha proposto per il bando 2020 di finanziamenti per la ricerca extramurale appena concluso anche il cosiddetto Telethon Career Award, che in aggiunta ai fondi per il progetto prevede il finanziamento del salario del ricercatore vincitore per la durata del progetto stesso, con una cifra di circa 40 mila euro all’anno. Ad aggiudicarselo, con una competizione “alla pari” con colleghi più affermati e strutturati, è stata la ricercatrice Maria Marchese, 35 anni, in forze all’IRCSS Stella Maris di Pisa. Le abbiamo rivolto qualche domanda per conoscerla meglio.
Partiamo dal suo progetto di ricerca. Cosa riguarda?
«L’ambito è quello delle ceroidolipofuscinosi neuronali (NCL), rare malattie ereditarie neurodegenerative che causano epilessia, perdita della vista, disabilità cognitiva e demenza, anche nell’età pediatrica. A livello cellulare, queste malattie sono caratterizzate da alterazioni di alcuni processi utilizzati dalle cellule per eliminare o riciclare componenti e molecole danneggiati, con conseguente accumulo di molecole tossiche. Il mio progetto si concentra in particolare sulla ceroidolipofuscinosi neuronale 5 (CLN5), una molto condizione grave causata da mutazioni a carico del gene CLN5 e uno degli obiettivi è arrivare a capire nel maggior dettaglio possibile quali sono i meccanismi molecolari alla base di questa malattia. Conoscere questi meccanismi è infatti il primo passo per arrivare a sviluppare possibili terapie: altro obiettivo è dunque valutare gli effetti di possibili nuovi farmaci, cioè nuove molecole che saranno sintetizzate ad hoc dall’équipe di Simona Rapposelli, del dipartimento di Farmacia dell’Università di Pisa. Inoltre, analizzeremo con tecniche innovative i circuiti neuronali visivi ed epilettogenici coinvolti alla base della malattia attraverso la collaborazione con Gian Michele Ratto dell’Istituto di Nanoscienze CNR e Scuola Normale. Per fare tutto questo lavorerò in particolare con un nuovo modello animale della malattia (zebrafish o pesce zebra)».
Qual è stato il suo percorso di studi e lavorativo fino a questo punto?
«Mi sono laureata in biologia molecolare nel 2011 presso l’Università degli studi di Bari, spostandomi subito dopo all’IRCSS Fondazione Stella Maris di Pisa, dove ho iniziato il percorso di dottorato di ricerca in neuroscienze. Il mio lavoro per il dottorato si inseriva in un progetto di ricerca finanziato proprio da Fondazione Telethon a Federico Sicca e si basava sull’identificazione di nuove varianti genetiche associate all’autismo e all’epilessia. Per i primi due anni mi sono occupata dell’analisi genetica, mentre durante il terzo anno ho iniziato studi più funzionali e mi sono trasferita presso l’University of California San Francisco, negli Stati Uniti, nel laboratorio di Scott Baraban, uno dei pionieri dell’utilizzo dello zebrafish come modello per lo studio dell’epilessia. Da lì sono poi tornata alla Fondazione Stella Maris, dove lavoro ancora oggi con il gruppo di Filippo Santorelli, che si occupa di malattie neurodegenerative quali atassie e ceroidolipofuscinosi neuronali. Io ho cominciato a studiare in dettaglio queste ultime malattie grazie a un finanziamento del Ministero della Salute. È stata anche l’occasione per entrare in contatto con l’Associazione nazionale ceroidolipofuscinosi. Credo che il contatto con i pazienti sia molto prezioso anche per chi fa ricerca perché permette di non perdere mai di vista il fatto che l’obiettivo del nostro lavoro è molto concreto ed è migliorare la qualità di vita di questi pazienti. In questo senso, credo che sia di grande aiuto anche lavorare in un IRCCS, dove per definizione le attività di ricerca e di cura sono appaiate».
Che cosa rappresenta per lei questo Telethon Career Award?
«È la grandissima opportunità di sviluppare un’idea che avevo in mente da tempo, avviando un mio filone di ricerca. Non è facile riuscirci, perché per sviluppare idee occorrono finanziamenti importanti e in Italia ce ne sono pochi, soprattutto per i giovani e soprattutto se riguardano malattie rare».
È stato difficile lasciare gli Stati Uniti?
«In effetti sì, non è stato facile a causa delle numerose opportunità che gli Stati Uniti offrono. Del resto è noto che i ricercatori italiani sono molto apprezzati negli Usa, perché ci riconoscono il fatto di saper lavorare bene, con impegno e creatività. In più, essere un ricercatore negli Usa è gratificante anche perché c’è un’attenzione speciale alla ricerca e una considerazione elevata per quelli che chiamano “gli scienziati”. Da noi l’attenzione alla ricerca è forse cresciuta di più nell’ultimo anno a causa della pandemia, ma la figura del ricercatore ha ancora bisogno di essere rivalutata».