Uno studio firmato su “Nature Communications” dal gruppo di Alberto Auricchio del Tigem mostra una possibile via per superare alcuni limiti dei vettori AAV.
La ricerca scientifica è un lavoro di raffinamento continuo. Per quanto eccellente, un risultato non è quasi mai un punto di arrivo: più spesso, è un punto di partenza per allargare gli orizzonti e cercare di ottenere altri risultati importanti. Proprio quanto sta accadendo nell’ambito della ricerca sui vettori virali adenoassociati (AAV). Da un lato, questi sono già i vettori più utilizzati per la terapia genica in vivo di malattie genetiche rare; dall’altro, però, continuano a essere oggetto di studi con l’obiettivo di portare a più malattie possibili i risultati positivi già raggiunti.
Tra i leader mondiali in questo campo c’è il gruppo di ricerca guidato da Alberto Auricchio all’Istituto Telethon di Genetica e Medicina (Tigem) di Pozzuoli (Na). Di recente, il gruppo ha descritto sulla rivista “Nature Communications” una nuova strategia per superare alcuni dei limiti associati ai vettori AAV.
Un’ottima occasione per farci raccontare da Auricchio stesso - coordinatore della linea di ricerca del Tigem dedicata alla terapia molecolare - non solo i dettagli di questo lavoro ma, più in generale, tutto l’impegno del Tigem con questi vettori, tra conquiste già raggiunte e prospettive future.
Terapia genica con vettori AAV: i risultati del Tigem
«Il primo risultato significativo da menzionare riguarda una terapia genica già in commercio con il nome di Luxturna, indicata per pazienti con distrofie ereditarie della retina causate da mutazioni del gene RPE65, come alcune forme di amaurosi congenita di Leber» racconta Auricchio. «La malattia causa grave danneggiamento della vista, fino a cecità completa: dopo una sola iniezione della terapia (nell’occhio), i pazienti mostrano un miglioramento importante della vista».
Il gruppo napoletano ha partecipato allo sviluppo di questa terapia e alla sua sperimentazione clinica, avviata nel 2007 negli Stati Uniti. Solo a Napoli, presso il Centro studi retinopatie ereditarie dell’Università della Campania guidato da Francesca Simonelli, sono stati trattati finora 30 bambini con questa forma di distrofia retinica: la più grande casistica di pazienti pediatrici trattati in Europa.
Un altro risultato di grande rilievo riguarda la mucopolisaccaridosi di tipo 6 (MPS6), malattia causata da mutazioni del gene codificante per un enzima chiamato arilsolfatasi-B. L’enzima è responsabile della degradazione di una particolare sostanza che, in sua assenza, si accumula causando tossicità alle cellule, con effetti a carico dello scheletro, degli occhi e del cuore. Proprio il gruppo di Auricchio ha sviluppato una terapia genica con vettore AAV per il trattamento di questa malattia.
La terapia, diretta questa volta alle cellule del fegato, è già arrivata alla sperimentazione clinica grazie alla collaborazione con il gruppo guidato da Nicola Brunetti Pierri “principal investigator” dello studio clinico. Le prime fasi della sperimentazione sono state avviate nel 2017 presso il Dipartimento di scienze mediche traslazionali dell’AOU Federico II di Napoli e si sono appena concluse. «Sono stati trattati nove pazienti sopra i quattro anni e tutti coloro che hanno ricevuto la dose più alta di vettore hanno raggiunto una buona stabilità sia biochimica, rispetto ai livelli dell’enzima, sia clinica, rispetto ai sintomi. Questi bambini hanno potuto sospendere, almeno fino ad ora, la terapia enzimatica sostitutiva, che prevede infusioni periodiche dell’enzima mancante. Il prossimo passo sarà passare all’ultima fase di sperimentazione per confermare l’efficacia della terapia: stiamo cercando un partner con il quale svilupparla».
Forbici molecolari da Nobel per l’integrazione del vettore
Per la distrofia retinica e per la MPS6 i vettori AAV si sono dunque dimostrati ottimi vettori. Eppure, così come sono non possono essere utilizzati con efficaci per altre malattie, perché oltre ad alcuni indubbi vantaggi presentano anche dei limiti.
Il primo è che, una volta entrati nella cellula bersaglio, non integrano il loro carico genetico (cioè il gene terapeutico) all’interno del Dna della cellula: rimangono invece come frammenti genetici liberi (episomi) nel citoplasma della cellula stessa. Questo, però, significa che non possono essere utilizzati con successo per malattie che colpiscono tessuti costituiti da cellule che si riproducono attivamente. In questo caso infatti, la quantità di vettore presente si diluisce via via che le cellule si riproducono, riducendo il contributo terapeutico. «È il motivo per il quale la sperimentazione per la terapia per MPS6 è stata indirizzata a bambini con più di quattro anni» spiega Auricchio. «In bambini più piccoli il fegato è ancora in crescita, dunque costituito da cellule in continua replicazione».
Per superare il limite della mancata integrazione del gene terapeutico, Auricchio e collaboratori hanno utilizzato quello che è forse lo strumento biotecnologico più famoso del momento: il sistema di editing genetico CRISPR-Cas9. Si tratta di una sorta di cassetta degli attrezzi molecolare che permette di intervenire in modo molto preciso sul Dna, per esempio correggendo singoli errori presenti nella sua sequenza oppure inserendo nuove sequenze di interesse in regioni ben precise, che possono essere decise a priori. «Abbiamo lavorato con modelli animali di MPS6, ma invece che fornire loro il solo vettore AAV con il gene terapeutico, abbiamo fornito anche lo strumento CRISPR-Cas9 programmato in modo da consentire l’integrazione del gene terapeutico all’interno del Dna delle cellule bersaglio, che sono cellule di fegato. Come punto di integrazione abbiamo scelto una regione che permette un’intensa attivazione del gene, per ottenere elevate quantità dell’enzima arilsolfatasi-B». I risultati ottenuti sono stati molto positivi e promettenti, meritando la pubblicazione su “Nature Communications”. «La prospettiva - commenta Auricchio - è quella di poter sviluppare terapie con vettori AAV dirette anche a organi in crescita e che possano quindi essere applicate anche in età neonatale. Una prospettiva importante per tante malattie metaboliche per le quali l’intervento precoce è essenziale o addirittura salvavita».
Il caso delle mutazioni con acquisto di funzione
L’articolo pubblicato su “Nature Communications” offre anche un altro esempio di possibile utilizzo della combinazione tra vettori AAV ed editing genetico per superare questa volta un limite generale della terapia genica. «Tipicamente - spiega Auricchio – la terapia genica è pensata per malattie causate da geni che, per via di mutazioni, non funzionano più o funzionano troppo poco. In questo caso, l’obiettivo è fornire alle cellule una copia funzionante del gene in questione. Ci sono però malattie che non dipendono da un difetto di funzione di un gene, ma da un eccesso di funzione, che porta alla produzione di una proteina alterata che risulta tossica per la cellula. È il caso di diverse malattie ereditarie della retina causate da mutazioni con acquisto di funzione che si trasmettono in modo dominante». Per capire cosa significa basta ricordare che, a parte alcune eccezioni, ogni gene è presente in due copie: una mutazione si definisce dominante quando basta che sia presente in una sola copia del gene per manifestarsi (e dare origine alla malattia). «In queste circostante fornire una copia corretta del gene non serve, perché il prodotto della copia mutata del gene rimane comunque presente, danneggiando la cellula». L’obiettivo, a questo punto, diventa spegnere il gene difettoso ed è qui che entra in gioco CRISPR-Cas9.
«In teoria basterebbe programmare queste forbici molecolari perché intervengano in modo mirato sulla sequenza difettosa per spegnere il gene, ma non sarebbe un metodo pratico. Questo perché spesso per uno stesso gene esistono molte mutazioni differenti con acquisto di funzione. Per spegnerle in modo mirato bisognerebbe sviluppare altrettanti prodotti terapeutici ad hoc: una prospettiva impensabile. Se però si usa CRISPR-Cas9 per inserire al posto del gene difettoso, qualunque sia la sua mutazione, una versione corretta del gene veicolata dal nostro vettore AAV si può sviluppare un solo prodotto terapeutico, con il quale è possibile curare tutte le possibili mutazioni di uno stesso gene». Di nuovo i risultati, ottenuti lavorando con un modello animale di questo tipo di malattie della retina, sono stati positivi e promettenti.
Aumentare il carico
C’è ancora un limite specifico dei vettori AAV sul quale lavora da tempo il gruppo di Auricchio, sviluppando strategie innovative prossime alla sperimentazione clinica. Si tratta del limite di carico: i vettori AAV, infatti, possono trasportare geni di lunghezza limitata, non più di 5000 coppie di basi (i mattoncini di base del DNA). Molti geni che sarebbe necessario trasferire a scopo terapeutico, però, sono più grandi. Che fare, allora? La risposta dei ricercatori napoletani è stata ingegnosa: usare due vettori per trasferire contemporaneamente due porzioni dello stesso gene. Per farlo, Auricchio e colleghi hanno sviluppato due diverse piattaforme del cui sviluppo in senso clinico si occupa ora la start-up AAVantgarde-Bio, che nel 2021 ha ottenuto un importante investimento dal fondo Sofinnova-Telethon.
«In un caso usiamo due vettori che trasportano due porzioni differenti del gene terapeutico, insieme a sequenze che, una volta che i vettori si trovano nel nucleo della cellula ospite, permettono alle due porzioni di ricombinarsi, riformando il gene nella sua interezza» dichiara Auricchio. La strategia si chiama “Dual Hybrid AAV” e ha dato ottimi risultati in ambito preclinico per la sindrome di Usher1B, che comporta perdita da parziale a totale sia della vista sia dell’udito. «Siamo pronti per la sperimentazione clinica, che speriamo di cominciare quest’anno anche grazie a un finanziamento concesso dalla Comunità europea». Nella seconda piattaforma non sono due sequenze di Dna a ricombinarsi per riformare il gene intero, ma due mezze proteine, che si assemblano per dare la proteina completa. «Ogni vettore AAV trasporta una sequenza codificante per mezza proteina, corredata da sequenze codificanti per frammenti proteici chiamati inteine. Dopo che le mezze proteine sono state sintetizzate, le inteine consentono loro di riconoscersi e fondersi in modo molto preciso, autoeliminandosi dalla proteina finale, che rimane così ricucita in maniera corretta». Un sistema elegante e sofisticato, che Auricchio, con AAVantgarde-Bio, pensa di avviare presto alla sperimentazione clinica per la malattia di Stargardt, la forma più comune di degenerazione maculare ereditaria.