A volte seguire una dieta a base di integratori alimentari può dare risultati insperati. È quello che emerge da uno studio clinico pilota finanziato da Fondazione Telethon: l’integratore DHA, un acido grasso della serie degli omega-3, si è dimostrato efficace nel migliorare i sintomi di una malattia genetica rara, l’atassia spinocerebellare di tipo 38 che nel tempo compromette la coordinazione, la capacità di camminare e di articolare la parola.
Pubblicato sulla rivista scientifica Annals of Neurology, lo studio è stato coordinato dalla professoressa Barbara Borroni dell’Unità di Neurologia dell’Università degli Studi di Brescia, in collaborazione con l’Università di Torino, l’Università di Milano e l’Ospedale Regionale Microcitemie di Cagliari. In particolare ha coinvolto 10 pazienti di entrambi i sessi, già sintomatici (i sintomi dell'atassia iniziano a manifestarsi intorno ai 40 anni), e ha previsto l’integrazione della loro dieta con il DHA, proprio perché il difetto genetico alla base della malattia si traduce in una riduzione di questo acido grasso.
Lo studio clinico è stato suddiviso in due fasi, al termine delle quali nessuno dei 10 pazienti ha manifestato effetti collaterali. La valutazione è stata effettuata mediante test clinici specifici, PET per analizzare l’attività metabolica del cervello ed esami funzionali come elettromiografia ed elettroneurografia. Una successiva fase III dello studio, che potrebbe coinvolgere un numero maggiore di pazienti, permetterà di assicurare l’efficacia della somministrazione di DHA anche in pazienti ancora non sintomatici, con la possibilità di agire in una fase precoce ritardando l’insorgenza della malattia e la progressione dei sintomi.
«I risultati ottenuti grazie a questo studio pilota – commenta Barbara Borroni - suggeriscono l’importanza di effettuare uno screening mirato per i soggetti affetti da atassia per conoscere quale sia mutazione genetica responsabile della malattia e, nel caso di mutazione del gene ELOVL5, poter beneficiare di un trattamento specifico, privo di effetti collaterali, e di relativo basso costo rispetto alle terapie conosciute oggi per altre malattie genetiche rare».