Ogni mattina, prima di cominciare la sua lunga e impegnativa giornata, Silvia Priori non può fare a meno di entrare nella camera dei suoi figli per salutarli e accertarsi che stiano bene. Già, perché lavorare per oltre trent'anni sulle cause della morte improvvisa, e sul perché il cuore di alcune persone può smettere di battere senza alcuna avvisaglia, lascia un segno indelebile.
«Il problema con le aritmie ereditarie è che possono restare silenti per tutta la vita, salvo quando è troppo tardi e il paziente muore per arresto cardiaco», spiega Silvia Priori, che presso la Fondazione Maugeri di Pavia è direttore scientifico e responsabile dell'unità di Cardiologia molecolare. Non solo, oltreoceano dirige il gruppo di Genetica cardiovascolare del Langone Medical Center dell'Università di New York.
«Ne ho visti tanti, purtroppo, soprattutto da quando dirigo il centro e, per forza di cose, mi occupo personalmente soltanto dei casi più gravi. L'invisibilità di queste patologie fa sì che i pazienti stessi tendano a dimenticarsele, anche quando sanno di essere portatori di un difetto genetico o di avere casi di morte improvvisa in famiglia. Invece è importante diagnosticarle prima possibile, quando ancora si può fare qualcosa».
Oggi queste malattie si possono tenere sotto controllo con una terapia farmacologica o con l'uso di defibrillatori, ma in un futuro non troppo lontano una soluzione definitiva potrebbe arrivare dalla terapia genica.
Proprio il gruppo di Silvia Priori sta studiando da anni, con il supporto di Telethon, come correggere il difetto genetico responsabile di una particolare forma di aritmia ereditaria, la tachicardia ventricolare catecolaminergica, dovuta alla mancanza di un'importante proteina cardiaca chiamata calsequestrina. «Siamo riusciti a dimostrare nel modello animale che la terapia genica è molto efficace nel prevenire la morte improvvisa non solo quando viene effettuata precocemente, ma anche in età adulta, quando cioè sono già presenti le alterazioni del cuore conseguenti al difetto genetico. Grazie anche alla collaborazione di Alberto Auricchio dell’Istituto Telethon di Napoli, abbiamo fornito il gene sano utilizzando una versione “riveduta e corretta” del virus adeno-associato (Aav), che normalmente è presente nelle vie respiratorie dell’uomo e non causa alcuna malattia. Modificandone la struttura, abbiamo creato in laboratorio una variante, l’Aav 9, in grado di infettare preferenzialmente le cellule del cuore. Di fatto, sfruttiamo la capacità di questo virus di introdurre il gene sano per la calsequestrina nelle cellule del cuore, dove rimane per tutta la vita dell’animale: la produzione della proteina mancante previene l’insorgenza di aritmie fatali, senza alcun effetto collaterale rilevante».
Sulla base di questi incoraggianti risultati, Silvia Priori e il suo gruppo stanno lavorando, anche con il supporto di Telethon, per trasferire nel più breve tempo possibile questi risultati sull'uomo. «Ci vorranno ancora diversi anni, e nuovi finanziamenti, per poter avviare uno studio pilota sui pazienti, però stiamo cominciando a lavorarci. Innanzitutto richiederemo al più presto all’Agenzia europea del farmaco la designazione di farmaco orfano per questa terapia, per poter sfruttare tutte le agevolazioni che questo “status” consente per accelerare l’approdo in clinica di nuovi farmaci per le malattie rare. Poi dovremo studiare come produrre su larga scala questo farmaco così speciale, molto più complesso di una semplice pillola, e come somministrarlo ai pazienti. Probabilmente la via meno invasiva possibile, ma comunque efficace, è l’infusione nelle arterie coronarie tramite un catetere inserito in una vena. In questo modo si potrebbe ripetere l’intervento anche a distanza di anni, nel caso una sola infusione non fosse sufficiente a garantire la disponibilità della proteina per tutto l’arco della vita».
Trasferire ai pazienti i risultati della ricerca condotta tra le pareti di un laboratorio è un processo lungo, che richiede cautela e molte risorse, economiche e umane. Senza dimenticare, come ricorda Silvia Priori, l’aspetto psicologico: «Una terapia sperimentale che viene testata per la prima volta è una scommessa per tutti, pazienti e ricercatori. Ecco perché questo percorso umano e professionale va affrontato insieme, fin dall’inizio».