È quella che sta creando a Milano il gruppo del professor Giulio Pompilio in collaborazione con il Policlinico Gemelli di Roma grazie a un progetto sostenuto da Fondazione Telethon e Uildm: il primo passo per capire meglio gli effetti sul cuore della malattia e cercare nuove soluzioni terapeutiche specifiche.
Il coinvolgimento del cuore costituisce una temibile complicanza per i pazienti con distrofia muscolare di Duchenne, malattia genetica caratterizzata dalla progressiva degenerazione del tessuto muscolare, compreso appunto quello cardiaco.
“Quando si verifica questo coinvolgimento si possono utilizzare con un certo successo i farmaci usati per il trattamento dell’insufficienza cardiaca dovuta ad altre cause” rassicura Giulio Pompilio, professore di cardiochirurgia all’Università di Milano e direttore scientifico dell’Istituto Cardiologico Monzino Irccs. Sottolineando tuttavia che il trattamento è quanto più efficace quanto più precocemente viene avviato e che in ogni caso sarebbe utile disporre di terapie su misura per gli aspetti specifici delle cardiomiopatie associate alla distrofia. Ecco perché c’è ancora bisogno di ricerca, come quella portata avanti dal professor Pompilio, per trovare soluzioni prognostiche e terapeutiche sempre più efficaci.
“La distrofia di Duchenne – spiega il professore – è caratterizzata dall’assenza, carenza o alterazione di una proteina chiamata distrofina che, a livello cardiaco ha una duplice funzione essenziale: mantenere l’integrità dei meccanismi che permettono la contrazione dei cardiomiociti, le cellule responsabili della funzione di pompa del cuore, e garantirne il corretto metabolismo”.
Se questa proteina manca, scarseggia o funziona male, il risultato è un’alterazione sia strutturale sia metabolica dei cardiomiociti, che infine vanno incontro a morte cellulare, venendo sostituiti da tessuto fibroso che non ha più la capacità di contrarsi. Di conseguenza, il paziente va incontro a insufficienza cardiaca, che nelle forme più gravi può diventare scompenso e causare aritmie minacciose.
In genere, nei pazienti con distrofia di Duchenne le complicazioni cardiache cominciano a manifestarsi nella seconda decade di vita, ma possono insorgere anche prima o, al contrario, più tardivamente. Al momento, però, non è possibile prevedere quando si manifesterà una cardiomiopatia, né quale sarà la sua gravità, che può variare da paziente a paziente.
“Invece avere queste informazioni sarebbe molto utile per esempio per stabilire il momento migliore per iniziare la terapia, come sarebbe utile disporre di approcci specifici per le particolari caratteristiche genetiche e biologiche di queste cardiomiopatie” afferma Pompilio. Proprio per saperne di più e con l’obiettivo di riuscire a costruire percorsi diagnostici e terapeutici personalizzati per ogni paziente, il gruppo di ricerca di Pompilio sta lavorando – con un progetto finanziato Fondazione Telethon e Uildm – alla costruzione di una biobanca di campioni di cardiomiociti di pazienti con cardiomiopatia associata a distrofia di Duchenne, che potranno essere oggetto di una grande varietà di studi.
Per farlo, Pompilio e collaboratori utilizzano le cosiddette cellule staminali iPS (cellule pluripotenti indotte), che possono essere create artificialmente in laboratorio e che negli ultimi anni sono diventate protagoniste della ricerca nell’ambito della medicina rigenerativa.
“Il primo passo è ottenere cellule del paziente, con un normalissimo prelievo di sangue. In laboratorio queste cellule sono sottoposte a un procedimento che le porta a ‘ringiovanire’, tornando simili e cellule staminali non differenziate. Queste, a loro volta, sono coltivate in condizioni tali da permetterne il differenziamento in cellule cardiache con caratteristiche genetiche proprie dei pazienti dai quali sono state derivate”. Un lavoro molto importante non solo perché è impossibile ottenere cardiomiociti direttamente dai pazienti, ma anche perché a ognuno dei campioni conservati nella biobanca corrisponde una storia clinica molto ben caratterizzata, con tantissimi dati genetici e biologici del paziente e della sua malattia.
“Questo ci permetterà di approfondire i meccanismi molecolari e cellulari coinvolti nelle cardiomiopatie associate a distrofia e di individuare eventuali mutazioni associate a manifestazioni più o meno severe della malattia”. In più, i cardiomiociti della biobanca potranno essere utilizzati come piccoli laboratori per lo screening di molecole, alla ricerca di nuovi potenziali farmaci specifici.