Matteo Fossati studia i meccanismi molecolari che regolano sviluppo e attività delle unità funzionali di base del cervello, le sinapsi, con l’obiettivo di comprendere meglio le cause di malattie del neurosviluppo come sindrome di Angelman e autismo.
Chiudete gli occhi e cercate di visualizzare i neuroni presenti nel nostro cervello: non sappiamo esattamente quanti siano, ma le stime indicano qualcosa intorno agli 86 miliardi. Adesso cercate di visualizzare la rete di contatti tra tutti questi neuroni, considerando che ognuno può formare fino a centomila contatti con altri (a proposito: sono questi contatti a rendere conto delle funzioni straordinarie delle quali è capace il nostro cervello). Ecco: riuscite a immaginare qualcosa di altrettanto complesso?
«È come una vertigine ed è esattamente quello che mi ha attratto delle neuroscienze fin dalla prima lezione all’università». Parola del biotecnologo Matteo Fossati che, dopo cinque anni passati in un laboratorio dell’École Normale Supérieure di Parigi, nel 2019 è tornato in Italia, a Milano, come ricercatore dell’Istituto di neuroscienze del CNR presso l’Istituto Clinico Humanitas. Qui guida un gruppo di ricerca dedicato ai meccanismi molecolari che controllano sviluppo e funzionamento delle sinapsi, le unità funzionali di base del sistema nervoso. «In particolare studiamo, anche grazie a finanziamenti Telethon, in che modo alterazioni di questi meccanismi possono portare a malattie del neurosviluppo, come la sindrome di Angelman e l’autismo». Due condizioni molto complesse, che era forse inevitabile finissero nel radar di un ricercatore tanto attratto dalla complessità.
UBE3A: un gene, due condizioni
Al centro del lavoro di Fossati c’è un gene chiamato UBE3A. «La sua perdita oppure mutazioni che non lo fanno più funzionare - spiega - causano la sindrome di Angelman, caratterizzata da ritardo nello sviluppo, disabilità motorie e cognitive, difficoltà nella comunicazione verbale e iperattività. Viceversa, la presenza di più copie del normale del gene UBE3A costituisce uno dei difetti genetici più comuni associati all’autismo.
Il gene codifica per una proteina con una funzione molto particolare: attaccare una molecola chiamata ubiquitina a proteine vecchie o non più funzionanti, che devono quindi essere eliminate. «L’ubiquitina è come una bandierina che rende le proteine da eliminare riconoscibili alle strutture cellulari che si dovranno occupare della loro degradazione» racconta il ricercatore.
Un sistema di bandierine molecolari
L’ubiquitina non è l’unica “bandierina” che può essere attaccata a una proteina: ce ne sono altre con significati differenti. Per esempio, l’aggiunta o rimozione di gruppi fosfato modificano la conformazione delle proteine alterando la loro capacità di legarsi fisicamente ad altre molecole. «Nel complesso, questo sistema di “bandierine molecolari” permette alle cellule di regolare l’attività delle proteine in modo veloce e plastico: due caratteristiche fondamentali per il cervello, che deve rispondere molto velocemente alla grande quantità di stimoli che riceve in ogni momento».
Facciamo uno zoom proprio sulle unità funzionali di base del cervello studiate da Fossati: le sinapsi, che potremmo definire punti di contatto tra neuroni nei quali avviene lo scambio di informazioni attraverso l’azione coordinata di numerose proteine, definite appunto proteine sinaptiche. «L’attacco o la rimozione di bandierine a queste proteine ne regola le quantità e l’attività a livello delle sinapsi, modulando in questo modo il funzionamento delle diverse aree del nostro cervello», spiega Fossati.
Sottolineando che tutti questi processi sono particolarmente intensi durante lo sviluppo prenatale e infantile del sistema nervoso centrale: periodi critici caratterizzati proprio da una grande plasticità dei circuiti nervosi fondamentale per l’acquisizione di specifiche capacità motorie e cognitive. Pensiamo all’apprendimento di una lingua straniera: non solo si fa meno fatica a impararla da piccoli, ma in questo modo è molto più facile ottenere una pronuncia da madrelingua, senza accenti tipici da “stranieri”. «Se a causa di qualche difetto genetico le sinapsi non funzionano bene in questi periodi di sviluppo, i circuiti nervosi si alterano e il cervello non riesce più a funzionare in modo corretto».
Interazione tra bandierine
Se tutto questo non vi sembra già abbastanza complesso, considerate che anche le diverse bandierine presenti su una singola proteina possono interagire tra loro, modificandone di conseguenza l’attività. «Nell’ambito del progetto Telethon, studiamo in particolare in che modo la “bandierina” ubiquitina interagisce a livello delle sinapsi con un’altra “bandierina” chiamata SUMO: una piccola proteina fondamentale per lo sviluppo e il funzionamento del cervello. La nostra ipotesi è che quando è alterato UBE3A non è alterato solo il processo di aggiunta dell’ubiquitina, ma anche quello di aggiunta di SUMO, e che potrebbe essere proprio questo effetto su SUMO un importante meccanismo alla base dell’insorgenza della sindrome di Angelman e dell’autismo».
Per verificare questa ipotesi, Fossati e il suo gruppo hanno messo a punto modelli di queste malattie nei quali utilizzano approcci di proteomica per analizzare contemporaneamente tutte le proteine del cervello interessate dall’aggiunta della bandierina SUMO (sumoilazione). «In effetti, nei modelli con alterazioni del gene UBE3A abbiamo osservato alterazioni dello schema di sumoilazione di proteine coinvolte nel funzionamento delle sinapsi. Il passaggio successivo sarà eseguire questi esperimenti in neuroni umani ottenuti a partire da cellule prelevate a pazienti». Un lavoro lungo e complesso che, ovviamente, non spaventa affatto Fossati.