Storia di Fady e di come la terapia genica “made in Telethon” e la solidarietà dell’Italia abbiano riscritto il suo destino segnato da una grave malattia genetica.
Fady, ovvero “il salvatore”: c’è un misto di speranza e fatalismo nella scelta di Roumani e Sousana di chiamare così il loro terzo bambino. Proprio come il secondo, che è morto un anno prima a causa di una rara malattia genetica di cui loro, cugini di primo grado che si conoscono da sempre, non sapevano di essere portatori sani. E che impedisce al sistema immunitario di formarsi correttamente, lasciando così l’organismo in balia di qualsiasi infezione.
Una malattia rara e fatale
È una famiglia semplice quella di Roumani e Sousana: lui fa il muratore, lei non lavora. Vivono a Menia, una città 300 km a sud della capitale egiziana del Cairo, insieme a un’altra figlia più grande, Jumana. I problemi di Fady emergono già dopo pochi mesi di vita: vomita continuamente, dimagrisce a vista d’occhio. I genitori iniziano a girare per gli ospedali, invano: i medici fanno le ipotesi più disparate e riempiono il bimbo di medicine, senza che ci sia alcun miglioramento. Finalmente, una dottoressa molto nota in Egitto e solita frequentare i congressi internazionali arriva alla diagnosi: si tratta di Ada-Scid, una rara immunodeficienza ereditaria.
Roumani ricorda perfettamente qual momento, nell’estate del 2015: «la dottoressa mi ha preso da parte e mi ha detto che nostro figlio aveva sviluppato troppe complicazioni e non sarebbe sopravvissuto. A sentire quella notizia, mia moglie ha iniziato a urlare, straziata dal dolore. Guardava nostro figlio intubato, con il corpicino nero. Quando è morto, ci ha consolato solo il fatto che finalmente aveva smesso di soffrire».
Ancora il gene sbagliato
Poco dopo Sousana scopre di essere nuovamente incinta. Quando nasce Fady, nel settembre del 2016, purtroppo arriva la notizia che tutti temevano: non condivide soltanto il nome del fratello che non c’è più, ma anche lo stesso difetto genetico. Questa volta, però, c’è qualche speranza in più: la diagnosi è arrivata subito e si può provare a cercare un donatore per il trapianto di midollo osseo, l’unica terapia che può restituirgli un sistema immunitario funzionante. La sorellina potrebbe donargli le cellule, ma la compatibilità è solo parziale e i genitori tentennano, hanno paura che non funzioni.
Nel frattempo, però, si prospetta un’altra possibilità: nei mesi precedenti l’Europa ha dato il via libera all’approvazione di un farmaco innovativo proprio per l’Ada-Scid messo a punto a Milano, dai ricercatori dell’Istituto San Raffaele-Telethon: è una terapia genica e permette di correggere il difetto genetico responsabile della malattia direttamente nelle cellule staminali ematopoietiche del paziente. Non serve un donatore, le cellule vengono corrette grazie a un vettore di origine virale – un paradosso pensando a quanto i virus possono essere pericolosi per chi soffre di una immunodeficienza! – che trasporta una versione sana del gene difettoso nell’Ada-Scid, quello codificante per un enzima chiamato adenosina deaminasi.
La speranza dall’Italia
La dottoressa non ha dubbi: si mette in contatto con i colleghi italiani per valutare se il bambino possa sottoporsi alla terapia genica. La famiglia ha scarse possibilità economiche, non può permettersi le spese necessarie per trasferirsi in Italia. Ma grazie al programma di accoglienza “Come a casa” della Fondazione Telethon e a una grande catena di solidarietà che coinvolge anche la Regione Lombardia e l’Alitalia, la famiglia riesce a raggiungere Milano e a stabilirvisi per tutto il tempo necessario.
«Accanto alla gioia, però, ero anche preoccupata perché si trattava di una terapia impegnativa, che avrebbe previsto anche una chemioterapia per preparare nostro figlio a ricevere le sue cellule corrette geneticamente».
Dopo aver faticosamente ottenuto i passaporti, la famiglia arriva finalmente a Milano, nei primi giorni del 2017: ad accoglierli all’aeroporto c’è lo staff di “Come a casa” e Roumani, che non ha mai avuto dubbi su quel viaggio, si sente “ubriaco di felicità”.
Una nuova vita
Quando iniziano i primi accertamenti, però, si presenta un altro ostacolo apparentemente insormontabile: Fady ha l’epatite C, una condizione incompatibile con il delicato intervento a cui dovrebbe sottoporsi. Ma ancora una volta lo staff di Fondazione Telethon e dell’SR-Tiget non si danno per vinti: riescono a ottenere l’autorizzazione a somministrare al bambino la terapia contro questa infezione da poco approvata, a spese della Fondazione. Grazie al farmaco, Fady si riprende in pochi mesi e nel giugno del 2017 riceve le sue cellule staminali corrette con la terapia genica: per quanto preoccupati, i genitori sono rinfrancati vedendo come ha reagito un’altra bimba trattata con la terapia genica qualche mese prima, Schana.
«In Italia abbiamo trovato persone molto buone e disponibili, siamo rimasti molto colpiti dal modo con cui si prendono cura di questi bambini così fragili. Quando hanno messo nostro figlio sul lettino della sala operatoria è stato inevitabile pensare a suo fratello, l’altro Fady».
Dopo diversi mesi in Italia, la famiglia è rientrata in Egitto. Fady nel frattempo è cresciuto e grazie a un sistema immunitario ben ricostituito è in grado di difendersi dalle infezioni e di condurre una vita normale come i suoi coetanei: può giocare, frequentare l’asilo, non deve più vivere isolato. Un futuro che è stato precluso al suo fratello maggiore, ma che per lui è diventato realtà grazie alla ricerca italiana.