Cercare una cura per malattie che ancora non ce l’hanno: questo vuole fare Fabian, proprio come i medici e i ricercatori dell’SR-Tiget hanno fatto per la sua malattia, la sindrome di Wiskott-Aldrich.
«Fabian da grande me lo immagino bellissimo (sono sempre sua mamma!), sano e in grado di fare tutto quello che desidera». Mamma Roxana si commuove quando pensa al futuro di Fabian e, del resto, avere un futuro non era affatto scontato per questo bambino che oggi ha 12 anni ed è dolce, pacato e pieno di interessi. E sogna, da grande, di fare il medico e di trovare nuove cure per malattie che ancora non ne hanno. Proprio come i ricercatori dell’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica (SR-Tiget) di Milano hanno fatto per la sua malattia, la sindrome di Wiskott-Aldrich.
Quando tutto è cominciato
Tutto è iniziato quando Fabian era molto piccolo: a sole sei settimane di vita ha cominciato ad avere episodi di febbre alta, che non si abbassava neppure con i farmaci, e i genitori talvolta notavano la presenza di sangue nelle feci. Per la neonatologa dell’ospedale in cui era nato, nella città di Deva, in Romania, non era nulla di allarmante, ma all’ennesimo episodio mamma Roxana e papà Dacian hanno deciso di portare Fabian al pronto soccorso di un ospedale di Timisoara, a 160 chilometri da casa. Qui gli esami del sangue hanno mostrato valori anomali delle piastrine, cellule coinvolte nella coagulazione del sangue, e di marcatori infiammatori.
«Ci hanno trasferiti in un ospedale più grande, dove Fabian è rimasto ricoverato per sei mesi, senza che nessuno capisse che cosa aveva» ricorda la mamma. «È stato un periodo durissimo: ero disperata, terrorizzata all’idea di perdere mio figlio e il fatto che nessuno sapesse cosa fare per farlo stare meglio era devastante».
Finalmente, a una dottoressa è venuto il sospetto che potesse trattarsi di Wiskott-Aldrich, e dopo alcuni mesi la diagnosi è stata confermata. Si tratta di una malattia genetica caratterizzata da deficit immunitario, per cui si manifesta fin dall’infanzia con eczema e infezioni ricorrenti, e da disturbi della coagulazione che comportano varie forme di sanguinamento, compresa una diarrea sanguinante. La sindrome è associata inoltre a un aumento del rischio di malattie autoimmuni, linfomi e leucemie.
Una voce amica
Di fronte alla diagnosi, il papà si mette a fare quello che farebbero tutti i papà in condizioni analoghe: comincia a cercare aiuto sul web, fino a trovare un centro americano che gli suggerisce di rivolgersi, tra gli altri, all’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica di Milano, dove si sta sperimentando una nuova terapia. Dacian scrive un’email e il giorno dopo riceve una telefonata da parte da Alessandro Aiuti, vice-direttore dell’Istituto e responsabile della sperimentazione. «Per la prima volta dopo tutti quei mesi di disperazione, la sua voce pacata e rassicurante ha riacceso la speranza» racconta la mamma, che dice di non riuscire ancora a trovare le parole giuste per ringraziare Aiuti, la sua équipe, Fondazione Telethon e tutti gli italiani che la sostengono.
La terapia genica
La speranza si chiama terapia genica: una terapia innovativa che permette di andare alla radice della malattia, fornendo alle cellule del paziente una versione corretta e funzionante del gene che nel suo caso non funziona più. Per la sindrome di Wiskott-Aldrich si tratta del gene WAS, codificante per una proteina coinvolta nel funzionamento del citoscheletro, l’insieme delle strutture cellulari che danno forma e sostegno alla cellula.
All’arrivo a Milano le condizioni di salute di Fabian non sono ottimali, e non permettono subito di iniziare il trattamento. Il piccolo aspetta, adattandosi a portare un cappello più simile a un elmetto che a un berretto per ridurre al massimo gli effetti di eventuali colpi alla testa. Su di lui avrebbero esiti ben più gravi che su altri bambini. Per fortuna, però, le condizioni migliorano, e a marzo 2013 la terapia può iniziare.
Fabian, oggi
Sono passati dieci anni, da allora, e Fabian continua a tornare periodicamente a Milano per i controlli, che confermano quello che dice la mamma sulle sue condizioni di oggi: «Sta benissimo. È un bambino normale, che può vivere una vita normale in una famiglia che è tornata normale». E che nel frattempo è anche cresciuta, con l’arrivo della sorellina Adelina.
Fabian va a scuola, nel pomeriggio studia piano e clarinetto e fa corsi di robotica e inglese (che parla benissimo). I viaggi a Milano sono delle piccole vacanze, che oggi vive con una discreta serenità. «Ora che è grande sa esattamente quello che è successo: che ha una malattia rara ma che è stato uno dei bimbi fortunati che ha potuto avere questa terapia. E che grazie alla sua storia, anche altri bambini rumeni oggi stanno bene, perché i medici del nostro Paese hanno imparato a conoscere la malattia e a diagnosticarla prima, indirizzandoli all’SR-Tiget» racconta Roxana. «Fabian è contento di tutto questo, però ha ancora paura dei prelievi, perché ha paura del dolore e dei sanguinamenti. Il ricordo di quello che ha passato da piccolo è rimasto con lui».
È un ricordo, però che non gli impedisce di sognare un futuro da medico. «Voglio fare il patologo e trovare nuove cure per malattie che ancora non ne hanno. Voglio venire studiare all’Università San Raffaele, trovare lavoro in questo ospedale e trovare casa in centro a Milano», dichiara sicuro. Chissà forse un giorno avrà un altro ottimo motivo per tornare in questa città. Noi glielo auguriamo di cuore.