Una fotografia forse non ti allunga la vita, come diceva di una telefonata un vecchio spot pubblicitario, ma ti può mostrare un lato di te che non sei mai riuscita a vedere, che credevi non esistesse.
L'albinismo costringe Agnese in un angolo, la fa indietreggiare fino alla reclusione. Troppe le precauzioni da prendere, troppe le rinunce alla normalità; meglio non fare niente. Quasi scordarsi di esistere.
Perché non è facile andare al mare bardata quasi si dovesse fare un giro in montagna; non è piacevole combattere, a scuola, con lavagne sempre troppo lontane; è dura dover chiedere le interrogazioni programmate per combattere l'ansia.
Perché c'è anche quella brutta cosa chiamata nistagmo: un problema neurologico che può variare per lo stato emotivo, può dare nausea e giramenti di testa. Anche se farlo capire ai compagni non è un'impresa semplice.
Così, quando Silvia, fotografa che vuole realizzare una mostra con le persone con la sua patologia, l'avvicina la diffidenza è tanta. Non accetta foto nemmeno dal papà. Ma grazie alla dolce complicità di Maria Cecilia, la sorella, Agnese prima accetta e poi riesce anche a sentirsi a suo agio.
Su un set costruito per lei, ben lontano da quelli di veline e top model. «Quando ho visto le foto mi sono stupita. Non pensavo di essere così, di poter venire così. Non mi sono mai vista bella, ho troppa poca autostima. Il fatto che gli altri vedessero le foto mi preoccupava un po'». Ecco la magia di quello scatto. «L'ho usata subito come immagine di profilo su facebook. È andata sul calendario e l'ha vista tutta Verona. A scuola, la professoressa di educazione fisica ha stampato la foto e l’ha messa in bacheca nella palestra».
Ora, a 16 anni, Agnese continua a vivere le sue difficoltà, perché una foto non fa miracoli, ma ha riconquistato una forza fondamentale, quella di gridare: io esisto.