L’associazione Italiana Sindrome di Moebius, insieme all’ospedale di Parma, sviluppa una piattaforma digitale per la fisioterapia in remoto.
Il sorriso è la prima, e più eloquente, espressione non verbale che i neonati usano per esprimere il loro stupore positivo nei confronti di un mondo che scoprono istante dopo istante. Ma c’è chi, come Giulia, Marianna e Angelo, che quel sorriso non lo avevano mai potuto rivolgere, a nessuno, neanche a mamma e papà. Sono nati con la sindrome di Moebius, la cui caratteristica principale è la paralisi facciale permanente causata dalla ridotta o mancata formazione dei nervi cranici 6 e 7. Poi è intervenuta una chirurgia molto speciale, la «smile surgery» ideata dal Ronald Zuker, dell'Hospital for Sick Children di Toronto, “importata” negli anni 2000 dal’Azienda Ospedaliera Universitaria di Parma, e sul volto di questi bambini è ricomparsa la gioia, che deve però essere supportata da tenacia, terapie e molti controlli. «Un sacrificio benedetto, che si affronta con slancio e fiducia, ma che comunque si traduce in tempi e costi non trascurabili» sottolineato i genitori dei bambini, che rappresentano la fetta più estesa dei soggetti affetti dalla sindrome.
Lo sa bene Renzo De Grandi, papà di Giulia, che ha subìto l’intervento nel 2004, e che anche sulla base di quella esperienza ha deciso di fondatore A.I.S.Mo, l’Associazione Italiana Sindrome di Moebius. «Serviva offrire una risposta certa a mille difficoltà. Io le avevo provate per primo, perché l’intervento è cruciale, ma è solo il punto di partenza». Già alla nascita, nel 1997, Giulia aveva manifestato alcuni problemi ad esempio, nel succhiare e nel chiudere la bocca. I medici non sono stati subito in grado di identificare la malattia. Ad otto mesi fa capolino l’ipotesi Moebius. Allora papà Renzo si mette sulle tracce delle prime esperienze statunitensi in termini di terapia e di chirurgia; nasce così anche l’associazione e la creazione di un gruppo di chirurghi maxillo-facciali italiani, in grado di operare con la tecnica del dott. Zucker. Ma, come detto, la chirurgia è solo il primo passo; poi ci sono gli esercizi e la fisioterapia, che va graduata in base ai progressi.
Dopo l’intervento, infatti, ai primi segni di reinnervazione, è necessario un percorso riabilitativo per ottimizzare il recupero del sorriso. All’Ospedale di Parma è stato studiato e predisposto dalla dottoressa logopedista Anna Barbot, con il contributo del gruppo di ricerca coordinato dal professor Pier Francesco Ferrari del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma, un nuovo approccio riabilitativo che permette di raggiungere risultati ottimali. Ed è grazie all’intervento dell’Associazione, congiunto a quello della dottoressa Barbot, che sta per vedere la luce una piattaforma di teleriabilitazione in grado di accompagnare i pazienti operati nel lungo e complesso iter di acquisizione della completa motilità e della espressività facciale, insieme, ovviamente, al sorriso.
«Fino ad oggi, dopo l’intervento chirurgico, i pazienti, e le loro famiglie, erano spesso costretti a lunghi e frequenti spostamenti da tutta Italia per essere sottoposti alle visite di controllo e per la somministrazione della terapia. Per questo, un paio di anni fa, ci è venuta l’idea di creare una piattaforma digitale sul web che consentisse di proseguire nella pratica degli esercizi di riabilitazione a casa, individualmente, avendo, contemporaneamente, la possibilità di ricevere il supporto medico».
In pratica, all’interno della piattaforma - attualmente in fase di test e non ancora attiva anche a causa delle conseguenze della diffusione del Covid 19 - il paziente trova i video con gli esercizi da compiere, secondo una precisa scansione individuale, determinata in base alle caratteristiche del proprio decorso clinico e terapico e alle differenti fasi del processo riabilitativo.
«Il principio alla base della nuova terapia in remoto - spiega la dottoressa Barbot - è quello secondo cui si hanno maggiori stimoli a compiere gli esercizi se si è posti di fronte non alla propria immagine riflessa ma ad una riproduzione video che, insieme ad una traccia sonora, invita ad imitare l’esecuzione di alcuni specifici movimenti, che devono essere ripetuti in un numero stabilito. Il training è modulato nella scelta degli esercizi e nella loro progressione rispetto al tipo di intervento e allo stato del paziente».
La piattaforma permette quindi lo svolgimento della terapia in modalità asincrona, modalità che ovviamente non esclude i controlli di persona, che diventano però molto più sporadici e mirati: «Il paziente, periodicamente, carica sulla piattaforma una registrazione video dei propri esercizi, scrupolosamente protetta da sistemi crittografici che ne salvaguardano la privacy e l’inaccessibilità, consultabile a distanza dallo specialista che ne verifica l’efficacia, valutazione a fronte della quale decidere se procedere alla somministrazione di una fase ulteriore di terapia o ripetere il livello precedete. La piattaforma, ovviamente, permette anche controlli in modalità online con il paziente, nel caso in cui si rendessero necessari».
Un ulteriore stadio di sviluppo del sistema riguarda la possibilità di creare un vero e proprio registro nazionale della sindrome di Moebius, sistematizzando la mole di dati e di prove a beneficio di medici e terapisti. «Potremo anche procedere a consulti tra colleghi - sottolinea la dottoressa Barbot - all’interno di una piattaforma scientifica sicura e dinamica».
Un esempio importante di quella che si definisce telemedicina, e di cui tanto avremmo avuto bisogno, a livello territoriale, anche in concomitanza con la recente emergenza sanitaria collegata al coronavirus. «Il sistema è versatile e sicuramente potrebbe essere utilizzato per il controllo di altre patologie - rimarca il presidente dell’Associazione - e speriamo che piattaforme simili si possano sviluppare e diffondere sul territorio per consentire a pazienti e famiglie di vivere con meno ansie, e anche meno esborso economico, i percorsi terapeutici, da eseguire in libertà senza derogare al contatto con il medico, che rimane fondamentale».
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