Storia di un ragazzo canadese che sta conquistando l’indipendenza anche grazie a una terapia genica messa a punto dai ricercatori dell’Istituto Telethon di Pozzuoli per la sua rara malattia, la mucopolisaccaridosi di tipo 6.

Isaac è nato il 14 aprile 2004 a Campbellford, una piccola città della provincia canadese dell’Ontario. I genitori, Andrew ed Ellen, si conoscono fin dai tempi della scuola elementare e lavorano rispettivamente come insegnante e infermiera. Presto notano che il bambino cresce troppo rispetto all’atteso e sospettano un problema.

All’ospedale pediatrico di Toronto, quando Isaac ha 18 mesi, viene inizialmente diagnosticata la mucopolisaccaridosi di tipo 1, ma dopo 4 giorni i medici rivedono la diagnosi e confermano che si tratta di quella tipo 6. I genitori erano ignari di esserne portatori sani, nessuno nelle rispettive famiglie aveva mai sviluppato la malattia.

Hanno anche un altro figlio di un anno più grande, Gabriel, perfettamente sano. Sapere che la forma che ha colpito Isaac non comprometterà il suo sviluppo cognitivo è un grande sollievo, ma le prospettive non sono comunque rosee: a differenza di quanto visto fino a quel momento, Isaac smetterà di crescere intorno ai 4 anni, ma soprattutto svilupperà problemi a carico di diversi organi e potrebbe non superare i 20 anni.

La battaglia per ottenere la terapia enzimatica

Superato lo shock iniziale, i genitori iniziano a raccogliere quante più informazioni possibili. La prima buona notizia è che esiste un trattamento che permette di contrastare la progressione della malattia, soprattutto quando intrapreso precocemente: la terapia enzimatica sostitutiva, prodotta da un’azienda americana.

Purtroppo, è molto costosa: 300 mila dollari all’anno, che crescono fino a un milione nel caso di un paziente adulto. Racconta Andrew: «Abbiamo immediatamente chiamato la casa farmaceutica: eravamo pronti ad andare in bancarotta e mio suocero aveva già messo a disposizione tutti i soldi della sua pensione, che però sarebbero bastati solo per un anno di farmaco: abbiamo quindi chiesto all’azienda di darcelo al prezzo di costo, ma non è stato possibile. Intanto Isaac cominciava a mostrare i primi sintomi e sapevamo che non potevamo perdere altro tempo».

La famiglia si rivolge quindi alle istituzioni dell’Ontario, ma anche in questo caso niente da fare: in Canada ci sono soltanto altri tre pazienti con la stessa malattia e il Paese non ha ancora varato una politica nazionale per i farmaci orfani come questo. Andrew è disperato ed è sul punto di trasferire l’intera famiglia in Inghilterra, visto che lì il farmaco viene rimborsato dal servizio sanitario nazionale.

Un giorno però sente alla radio un dibattito proprio sul tema dell’accesso ai farmaci orfani: contatta la rappresentante che sta parlando, che si prende a cuore la vicenda di Isaac e porta avanti la richiesta della famiglia di ottenere il farmaco su base compassionevole finché non sarà varato il piano per i farmaci orfani.

Il giorno in cui arriva la telefonata che annuncia che il governo dell’Ontario ha approvato il pagamento della terapia per Isaac la famiglia era a fare la spesa. All’età di due anni e mezzo e a meno di un anno dalla diagnosi Isaac può iniziare la terapia. Ogni settimana mamma Ellen lo accompagna all’ospedale di Toronto per l’infusione, che dura circa tre ore. Isaac è stato il primo bambino canadese con MPS6 ad aver ricevuto il trattamento.

I miglioramenti si vedono presto, a livello di tutti gli organi; i genitori sono comunque sempre all’erta perché la terapia non è priva di rischi e può avere reazioni avverse anche pericolose. Senza contare naturalmente il fatto che non si tratta di una cura, ma di un trattamento che dura per tutta la vita e che costringe ad andare in ospedale regolarmente.

Andrew si considera comunque molto fortunato, perché la diagnosi è arrivata presto, grazie al fatto che all’ospedale pediatrico di Toronto c’erano genetisti esperti di questo tipo di patologie; è perfettamente consapevole che in altri casi ci sono voluti anni per arrivare alla diagnosi.

La Isaac Foundation

Nel 2006, subito dopo l’inizio del trattamento, Andrew ed Ellen decidono di dare vita a una Fondazione intitolata ad Isaac per raccogliere fondi a favore della ricerca scientifica, la Isaac Foundation. Diventa un vero e proprio secondo lavoro, ma la vicinanza e la partecipazione degli amici e dell’intera città sono commoventi: tutti, dalle alunne di Andrew ai negozianti fanno la loro parte per offrire donazioni. Il primo finanziamento, di 40 mila dollari, è dedicato a un progetto per lo sviluppo di farmaci chaperon, in grado cioè di migliorare l’effetto della terapia enzimatica sostitutiva.

Da allora la Fondazione si è impegnata sia nella raccolta fondi, sia nell’advocacy e sensibilizzazione sulle malattie genetiche rare, coinvolgendo personalità del mondo dello sport e dello spettacolo. Dopo qualche anno, Andrew lascia il suo lavoro da insegnante per dedicarsi a tempo pieno alla Fondazione, grazie alla quale anche altri bambini canadesi a cui viene diagnosticata la malattia, come Jasper e Violet, hanno la possibilità di ricevere la terapia enzimatica gratuitamente.

Arriva la terapia genica

Tra i progetti in cui la Fondazione spera, tanto da averlo sostenuto anche economicamente, c’è quello sulla terapia genica portato avanti da un gruppo di ricercatori italiani, quello di Alberto Auricchio dell’Istituto Telethon di genetica e medicina di Pozzuoli. Andrew ne è entusiasta fin da subito, e resta costantemente in contatto con il team italiano.

Nel 2017 dal laboratorio si passa finalmente alla clinica e viene trattato il primo paziente, un ragazzo turco. L’anno successivo, anche alla famiglia di Isaac arriva una lettera preziosa, firmata dal responsabile dello studio clinico Nicola Brunetti-Pierri: è l’invito per Isaac a entrare a far parte della sperimentazione. I genitori non hanno dubbi e nel mese di novembre volano in Italia con entrambi i figli. Isaac è il quinto paziente a ricevere la terapia genica sviluppata dal Tigem, che mira a correggere il difetto genetico responsabile tramite l’infusione nel sangue di un vettore di origine virale contenente una versione corretta del gene.

La terapia riesce e per un certo periodo Isaac può stare senza la terapia enzimatica, ma dopo qualche anno deve riprenderla, anche se con frequenza dimezzata, perché il livello dei suoi metaboliti urinari (un indicatore importante dell’accumulo in questa malattia) è sopra il livello di guardia. I benefici di avere una fonte endogena dell’enzima si vedono comunque: sia lui che i genitori sono felici di aver preso parte allo studio.

Isaac oggi

A vent’anni Isaac è un ragazzo sorridente, molto brillante e spiritoso. Frequenta il college insieme al fratello, studiano entrambi informatica. La conquista dell’indipendenza per lui non ha prezzo: guida la macchina, vive nella residenza universitaria. I genitori hanno un po’ la sindrome del nido vuoto ma sono felici che i loro ragazzi stiano trovando la loro strada.

Come racconta lui stesso, «anche se ho dovuto riprendere la terapia enzimatica sostitutiva, la terapia genica mi ha aiutato a vivere la mia vita al di fuori del mondo ospedaliero. Durante l’anno frequento l’università, in estate lavoro da remoto: supporto la nostra amministrazione a gestire l’infrastruttura informatica dei parchi dell’Ontario. Senza la terapia genica non potrei fare tutte queste cose, perché dovrei assentarmi dal lavoro e dallo studio ogni settimana guidando per due ore, per fare la terapia enzimatica. Invece, oggi posso riceverla ogni due settimane a casa mia, il che rende la mia vita praticamente normale».

E poi c’è la gioia di aitare gli altri: «Accanto ai benefici che ho ricevuto personalmente, sono anche molto felice di aver avuto l’occasione di aiutare gli altri. Partecipando alla sperimentazione italiana, ho contribuito a raccogliere dati importanti sulla sicurezza e l’efficacia della terapia genica. Questi dati faranno sì che la terapia genica possa essere sviluppata anche in futuro e che altre persone potranno essere trattate e vivere una vita migliore. La terapia genica si sta rivelando promettente non solo per la mia malattia e io spero che i dati raccolti in questo studio potranno contribuire a metterla a punto anche per altre malattie».

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