Dal sospetto di trisomia 18 alla scoperta della sindrome di Myhre, passando per la partecipazione al programma Malattie senza diagnosi di Telethon, fino all’inclusione in uno studio clinico: una storia di determinazione e fiducia.
«Io sono grande! Ho appena compiuto sei anni e vado alla scuola materna. Tra poco viene Carnevale, così posso travestirmi». È socievole e disinvolta Karol, piena di un entusiasmo travolgente che distrae da un difetto di fonazione, possibile eredità delle intubazioni tracheali che ha subìto nei primi anni di vita durante due importanti interventi chirurgici al cuore.
Dopo le presentazioni, però, torna la voglia di giocare a fare la chef con le sorelle (una più grande e una più piccola) e Karol scende dalle ginocchia della mamma, Mena, lasciandole in mano un ovetto di legno che lei terrà per tutta la chiacchierata, in videochiamata da San Gennaro Vesuviano. Attraverso lo schermo prorompono in modo quasi palpabile a centinaia di chilometri di distanza l'amore infinito che Mena ha per sua figlia, la gioia che prova nello starle accanto, la determinazione con la quale intende renderle la vita la più semplice possibile. Una determinazione nata ancora prima della stessa Karol.
«Durante la gravidanza erano emerse anomalie del cuore e dei lineamenti della bimba e il sospetto che potesse avere la trisomia 18, una condizione nella maggior parte dei casi incompatibile con la vita. Eravamo preparati ad affrontare una situazione molto difficile, ma non abbiamo smesso di sperare e per fortuna alla nascita si è scoperto che non si trattava di trisomia 18» racconta Mena.
La malformazione cardiaca però c’era, e c’era anche un’ipertrofia clitoridea che nei primi momenti ha complicato l’individuazione del sesso. Così, mentre da un lato i medici si prendevano cura del suo piccolo cuore - «oggi tutto a toppe per gli interventi» sottolinea la mamma con un sorriso, perché sono proprio quelle toppe ad aver permesso alla sua bimba di vivere - dall’altro cercavano di capire che cosa Karol avesse esattamente.
La svolta è arrivata grazie all’incontro con Nicola Brunetti-Pierri, pediatra al Policlinico universitario di Napoli e coordinatore del programma di “Malattie senza diagnosi” all’Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem) di Pozzuoli. «Il professore ha avuto l’occhio lungo: si è accorto subito che Karol, che aveva allora due mesi, poteva avere una sindrome genetica. Lo sospettava per alcuni suoi tratti particolari come gli occhi distanziati, il nasino schiacciato (che però ho anche io!), il dito mignolo dei piedi leggermente deviato e l’ha subito inserita nel programma. In un’altra occasione si è accorto che Karol, che a me sembrava del tutto normale, era in sofferenza cardiaca. Può darsi che sarebbe emerso comunque dopo qualche giorno senza gravi conseguenze, ma io gli sarò per sempre grata per questa tempestività. E anche sulla sindrome aveva ragione».
Gli esami condotti nell’ambito del programma hanno rivelato che Karol ha la sindrome di Myhre. «Si tratta di una malattia genetica rarissima caratterizzata da un difetto di deposizione del tessuto connettivo, con progressiva fibrosi a carico di diversi organi» spiega Gerarda Cappuccio, pediatra dell’équipe di Brunetti Pierri che ha seguito Karol in tutti i suoi controlli. I sintomi possono essere diversi «Ogni bambino è un caso a sé» commenta la pediatra.
La malattia è stata diagnosticata per la prima volta una quarantina d’anni fa e la sua causa molecolare individuata solo nel 2012 dal genetista Marco Tartaglia, allora ricercatore Telethon.
«Scoprire che Karol aveva questa sindrome rara della quale si conosce ancora così poco e che in alcuni ragazzi che abbiamo conosciuto dava sintomi molto gravi è stato un trauma. Quello che ci ha dato forza è stato guardare oltre le descrizioni mediche della malattia per concentrarci sulle caratteristiche uniche della nostra bimba».
«Vigile, vivace, intelligente, piena di voglia di fare: anche se un po’ più lentamente rispetto ai bambini senza la sindrome, ha raggiunto tutte le tappe cognitive che ci si aspetta per una bimba della sua età».
Certo, il futuro rimane un’incognita, ma a questo proposito Mena ha un’altra forza alla quale attingere, cioè la fiducia nella ricerca. «Quando ero piccola, mia nonna - nata nel 1926 - mi raccontava che ai suoi tempi si poteva morire per una banale infezione e che solo grazie ai progressi della medicina e della scienza questo non accadeva più. Era così grata a queste conquiste da concludere le sue preghiere serali con un’invocazione ben precisa: “Signore, accresc’ a scienza” (Signore, fai progredire le conoscenze). Allo stesso modo io sono grata alla medicina che ha salvato Karol dalle sue complicazioni cardiache e ho piena fiducia su quanto potrà venire dalla ricerca specifica sulla sua malattia».
I primi risultati non mancano. Proprio il gruppo di Brunetti-Pierri ha scoperto, grazie a un primo studio clinico pilota pubblicato nel dicembre 2020, che la somministrazione del comune diuretico losartan può migliorare alcuni parametri della sindrome, come lo spessore cutaneo, la mobilità articolare e la fibrosi a livello cardiaco. Tra i partecipanti c’era anche Karol, la più piccina, che oltre al miglioramento delle sue condizioni da questa partecipazione si è portata a casa anche una nuova passione: giocare a fare la dottoressa.