La malattia di Batten rientra tra i progetti di ricerca del Seed Grant 2023 di Fondazione Telethon grazie all’Associazione Nazionale Ceroidolipofuscinosi A-NLC.
Obiettivo dei bandi Seed Grant è individuare progetti di ricerca di valore riguardanti specifiche malattie genetiche rare, piantando un “seed” (che significa “seme”, in inglese) che possa poi crescere e fiorire rigoglioso portando risultati tanto attesi per le famiglie con queste patologie. Le associazioni di pazienti mettono a disposizione il budget raccolto e Fondazione Telethon le supporta mettendo a loro disposizione tutte le proprie trentennali competenze nell’organizzazione, valutazione e gestione dei bandi di ricerca e nel successivo monitoraggio del progetto individuato.
Tra le Associazioni coinvolte nei 6 bandi Seed Grant 2023, c’è l’Associazione Nazionale Ceroidolipofuscinosi A-NCL con un bando di ricerca che riguarda la ceroidolipofuscinosi neuronale o malattia di Batten.
«È stato un fulmine a ciel sereno», così Mirco definisce l’ingresso della malattia di Batten nella vita della sua famiglia. Suo figlio Matteo, che oggi ha 19 anni, convive con questa malattia genetica dall’età di 6 anni, quando si sono manifestati i primi sintomi. «Quando è nato, Matteo sembrava un bambino sano. Era sveglio, vivace, e i primi anni di vita sono trascorsi senza alcun tipo di problema. Verso i 6 anni, però, quando Matteo frequentava la prima elementare e aveva iniziato a leggere qualche parolina, si sono presentati i primi problemi di vista. In quel momento mai nessuno avrebbe pensato a una cosa del genere».
La ceroidolipofuscinosi neuronale, o malattia di Batten, è una rara malattia neurodegenerativa, che rientra fra le malattie da accumulo lisosomiale e causa principalmente danni al cervello e alla retina. Di solito esordisce in età pediatrica (1-14 anni), con sintomi quali disturbi motori, progressiva perdita della vista e crisi epilettiche. Matteo è affetto da ceroidolipofuscinosi di tipo 5, ma arrivare a dare un nome alla malattia ha richiesto ben due anni. Spesso, infatti, le diagnosi di malattie genetiche rare non sono immediate, come sarebbe invece auspicabile.
«In un primo momento, consultammo un oculista di base, per poi rivolgerci a oculisti specializzati. Uno di questi ci indirizzò verso approfondimenti più specifici – racconta Mirco – Dopo una risonanza magnetica dall’esito incerto, la nostra dottoressa ci suggerì di portare il dischetto al CNR. Lì arrivò la prima batosta. Ancora non era possibile darci il nome della malattia, però ci dissero che il cervello di Matteo era cresciuto fino a un certo punto e che poi era iniziata una fase di atrofia».
Da allora, i genitori di Matteo lo accompagnano in diversi ospedali, per cercare di capire come fronteggiare questa situazione. «Abbiamo iniziato a fare indagini approfondite. Siamo stati al Gaslini di Genova, al Regina Margherita di Torino, al Bambino Gesù di Roma, pronti ad arrivare ovunque per aiutare Matteo. Sono passati due anni prima di giungere alla diagnosi definitiva. Matteo, all’epoca, aveva qualche problema comportamentale e alla vista, ma stava ancora bene. Piano piano, anno dopo anno, si sono presentati tutti i problemi che ci avevano preannunciato. La deambulazione è diventata difficoltosa, Matteo cadeva continuamente, anche rischiando di farsi male. La funzionalità visiva è andata peggiorando. Progressivamente è andata via anche la parola».
Per un genitore vedere il proprio figlio spegnersi lentamente è una sofferenza atroce. «Ci avevano preparato anche a problemi più grossi: Matteo di lì a breve non sarebbe riuscito a mangiare, a nutrirsi. Abbiamo dovuto prendere una decisione importante e sottoporlo alla PEG, sotto consiglio dei professionisti dell’istituto Stella Maris, al quale ci siamo affidati in questi anni. Attualmente Matteo ha 19 anni e mezzo, ma è in uno stato quasi vegetativo. Non può comunicare, però quando sente la mia voce, accenna un sorriso e il mio cuore si riempie di gioia».
Ciò che ha fatto sicuramente la differenza nel percorso di vita della famiglia di Matteo è stato l’incontro con l’Associazione Nazionale Ceroidolipofuscinosi A-NCL. L’associazione è nata nel 2010 e Mirco attualmente è membro del Consiglio Direttivo. «La prima volta che abbiamo sentito il nome della malattia non è stato facile. Eravamo smarriti di fronte a un nemico sconosciuto. Scoprire l’esistenza dell’associazione ci ha aiutato tantissimo. Parlare con genitori che stavano vivendo la nostra stessa situazione, anche in una fase un po’ più avanzata, è stato prezioso. Ci hanno offerto consigli e supporto».
Dal 2010 a oggi, l’associazione ha organizzato quattro congressi nazionali, inestimabili occasioni di confronto non soltanto dal punto di vista scientifico, grazie alla presenza di esponenti del mondo medico, ma anche dal punto di vista conoscitivo. Durante i congressi, infatti, le famiglie hanno la possibilità di conoscersi e condividere le proprie esperienze. «Attualmente fanno parte dell’associazione una trentina di famiglie in tutta Italia. Chi può, porta con sé ai congressi anche i figli. Al primo congresso che abbiamo organizzato, nel 2014, ho portato con me Matteo. All’epoca parlava e vedeva ancora. Ho continuato a portarlo ai congressi anche più avanti. Condividere lo stesso dolore con altre famiglie è molto utile. Dopo 12 anni di malattia, anch’io posso portare la mia parola di conforto, di aiuto. Ci siamo ritrovati in una grande famiglia».
Questa dimensione sociale è fondamentale per chi si trova a gestire una situazione difficile, quale è la convivenza con una malattia genetica rara. «Ogni giorno – spiega Mirco – bisogna rapportarsi con diverse problematiche, complesse da gestire. Io e mia moglie, nel tempo, ci siano trasformati in infermieri, medici, fisioterapisti. Per tanti anni ci siamo ritrovati da soli ed è stato pesante. Oggi abbiamo una maggiore consapevolezza, anche se spesso ci sentiamo come Don Chisciotte che combatte contro i mulini a vento per ottenere risposte che dovrebbero essere immediate».
Sicuramente la situazione non è stata facile neanche per Diego, il fratello minore di Matteo. «Diego, all’inizio, ha conosciuto un fratello che stava bene e giocava con lui e poi non ha potuto più farlo. Oggi Diego ha 15 anni e non può neanche interagire con suo fratello. Io e mia moglie eravamo inconsapevolmente portatori sani e, una volta scoperta la malattia, abbiamo passato dieci giorni di inferno perché c’era il rischio che anche Diego l’avesse ereditata, cosa che per fortuna non è accaduta».
La ceroidolipofuscinosi neuronale è una malattia che ha ben 14 varianti, ma solo per una di queste – la CLN di tipo 2 – esiste un trattamento: una terapia enzimatica sostitutiva, in grado di rallentare il decorso della malattia. Ad oggi per tutte le altre varianti non esistono terapie. Proprio per questo investire nella ricerca è quantomai necessario.
«Negli anni, come associazione, abbiamo portato avanti una serie di raccolte fondi, attraverso eventi di vario genere – racconta Mirco – Più di dieci anni fa, quando ho avuto la diagnosi, mi hanno detto che non avrei potuto fare niente per aiutare mio figlio. Matteo perdeva un pezzo, giorno dopo giorno, e io ero inerme. Il senso di impotenza mi stava facendo male, mi uccideva. Oggi, invece, ho una nuova consapevolezza e so di condividere la stessa opinione con tanti altri genitori. Siamo consapevoli che attualmente non abbiamo una cura per i nostri figli, ma al tempo stesso sappiamo che il nostro impegno non è vano perché è rivolto a chi verrà dopo di noi. E questo impegno mi è servito, tentare di far qualcosa per chi si troverà nella nostra stessa situazione ha contribuito a far sparire quel senso di impotenza che mi aveva sopraffatto».
In quest’ottica, partecipare allo Spring Seed Grant 2023 per l’Associazione Nazionale Ceroidolipofuscinosi ha rappresentato un’importante occasione. Piantare oggi il seme della ricerca, supportati nel modo migliore possibile da Telethon per sostenere una ricerca di eccellenza, significa veder fiorire domani il futuro di tanti bambini con malattie genetiche rare. «È una bella opportunità per cercare di portare avanti qualcosa di importante – sottolinea Mirco – Il cammino da fare è ancora lungo, ma insieme possiamo arrivare lontano».