Il progetto ha previsto una serie di incontri online finalizzati a offrire supporto psicologico a genitori di figli con la sindrome di Alport.
“Mai più soli”. Non c’è affermazione più rassicurante di questa. Quando alla malattia si aggiunge la solitudine, intesa nel suo significato più ampio, allora le difficoltà possono veramente apparire insormontabili.
Una sensazione che Paola, madre di Marco e donna di grande coraggio, ha provato sin dalla prima diagnosi che parlava di sindrome di Alport. «Era il 1993, e non avevo alcun riferimento che non fossero i sanitari dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma dove mi recavo con sempre maggiore regolarità. Mi sentivo in balia degli eventi, e non è stato facile. Poi la luce in fondo al tunnel, intorno al 2010, quando ho saputo della nascita di Asal, l’Associazione Sindrome di Alport».
Una porta che si apre sulla solidarietà e sul conforto. Un sostegno imprescindibile quello di chi, prima di te o con te, affronta ogni giorno mille difficoltà, ma riesce ad individuare altrettante soluzioni. Poi l’arrivo della pandemia e, quindi, l’impossibilità di potersi vedere e poter proseguire in quel percorso di condivisione in presenza. «Ci siamo subito resi conto che non avremmo potuto lasciare in uno stato di isolamento tante famiglie che contano sul nostro supporto - racconta Daniela Lai, presidente dell’Associazione - e così, insieme anche alla dottoressa Elisa Dessì, nostra psicologa di riferimento, abbiamo pensato al progetto Alport “Mai più Soli”».
Il progetto, giunto alla sua seconda edizione, ha previsto l’avvio di un calendario di incontri organizzati su una piattaforma online e finalizzati prevalentemente a offrire supporto psicologico a genitori di figli affetti dalla sindrome di Alport, ma anche direttamente agli stessi ragazzi e ragazze. «Non abbiamo fatto altro che dare risposta e riscontro ad una richiesta che da tempo ricevevamo dalle famiglie, ovvero essere sostenuti su un piano non esclusivamente medico ma anche di convivenza sociale» spiega Dessì, che ha condotto gli incontri online.
«Abbiamo definito una serie di tematiche, spaziando dal problema dell’accettazione, a quello della solitudine o del bullismo - continua Dessì -, fenomeno che spesso purtroppo interessa i ragazzi e le ragazze che si rivolgono alla nostra associazione; quindi abbiamo organizzato momenti di confronto e riflessione rivolti a piccoli gruppi di massimo nove persone». Nei momenti di consulto destinati ai genitori sono emerse problematiche che non di rado rimangono rinchiuse tra le quattro mura domestiche, senza quindi trovare uno sbocco risolutivo o, quantomeno, di elaborazione. «Con i genitori abbiamo spesso dovuto affrontare il problema del senso di colpa che permane rispetto al pensiero di aver in qualche modo potuto causare, anche solo indirettamente, la complessa condizione di salute dei figli».
«La prima edizione del progetto ha ricevuto un riscontro molto positivo, a tal punto che abbiamo deciso di proseguire nello stesso solco anche per la seconda edizione, aprendo però anche alla formula degli incontri individuali» racconta la presidente Lai. «Abbiamo pensato di integrare alla dimensione di gruppo anche quella individuale perché sarebbe potuto capitare, ed è assolutamente legittimo, che la presenza di altre persone potesse trattenere soprattutto i più giovani dall’esprimere alcuni disagi o delle difficoltà che, nel dialogo diretto, sarebbero potuti emergere».
«Il Covid ci aveva improvvisamente spinti in una condizione di buio - rimarca Paola, la mamma di Marco - e poter beneficiare dell’appoggio professionale della dottoressa Dessì ma anche della solidarietà e del sostegno amicale delle altre famiglie, nonostante fosse a distanza, ci ha consentito di andare avanti senza sentirci soli». Un’esperienza molto positiva, quindi, che per questo l’Asal intende poter proseguire in futuro. «Siamo molto decisi ad organizzare almeno una terza edizione del progetto - conclude Lai - e, in prospettiva, vorremmo che si tramutasse in uno strumento permanente di consulenza e supporto».
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