A tredici anni ha ricevuto la diagnosi della malattia di Charcot-Marie-Tooth, che la costringe in carrozzina, ma questo non l’ha mai fermata.
Ventisette anni e tutta la vita chiusa nel pugno di una mano, quello che stringe forte quando sa che deve affrontare una nuova sfida. Nessuno può fermare Maria, che dalla sua sedia a rotelle guarda il mondo a testa alta.
È partita da Altamura, in provincia di Bari, per studiare al Politecnico di Milano, sola in una grande città. Ha preso la patente. Ha iniziato a praticare rugby. Si è laureata e ha trovato un lavoro che la fa sentire “sullo stesso piano” rispetto agli altri. «I colleghi mi percepiscono come ogni altro impiegato. In altri ambienti questo non succedeva - racconta Maria - venivo considerata una persona con dei limiti e per questo molte cose non mi venivano chieste. Qui a Milano la differenza tra me e i colleghi diciamo che non esiste. Il lavoro è lavoro per tutti».
A tredici anni Maria ha ricevuto la diagnosi della malattia di Charcot-Marie-Tooth (CMT), una patologia genetica ereditaria e progressiva che colpisce il sistema nervoso periferico, ed è caratterizzata da debolezza e atrofia dei muscoli, a partire dagli arti inferiori. Maria in realtà ha iniziato a manifestare i primi sintomi verso i 4 anni, ma ci è voluto molto tempo per dare un nome a ciò che le stava accadendo.
A 14 anni si sentiva «troppo stanca per riuscire a stare in piedi o fare anche semplicemente una passeggiata», così ha dovuto sedersi su una sedia a rotelle e imparare a vivere una nuova vita. «Per me - ricorda - quella è stata una liberazione, perché potevo finalmente riprendere a fare ciò che volevo».
Con molta lucidità riesce a individuare un momento preciso nella sua vita che ha determinato una piccola grande rivoluzione. Lei lo racconta come «il momento in cui io smetto di essere disabile e comincio a vivere come una persona che ha una disabilità», una caratteristica ma tra molte altre. Quel momento è arrivato durante un viaggio in cui ha conosciuto Stefano, anche lui seduto su una carrozzina a causa di un incidente in moto, un uomo che ha deciso che la sua disabilità non sarebbe mai stata un limite.
In particolar modo c’è un episodio che racconta Maria, accaduto a Tunisi: lei e Stefano durante una escursione rimangono da soli all’ingresso di un sito museale il cui accesso avviene grazie a una scalinata. Maria rimane ferma dando per scontato di non poter entrare nell’edificio. Stefano invece la guarda e le dice: «Ti aiuto io?» e per Maria è una sorta di folgorazione. Non solo Stefano non si ferma di fronte all’ostacolo ma proprio lui, sulla sedia a rotelle come lei, diventa l’appoggio per affrontarla.
Oggi ripete spesso che la carrozzina rappresenta la sua forza, l’indipendenza a cui non rinuncerebbe mai. E poi c’è lo sport, la sua grande passione, il wheelchair rugby. Fino a quando studiava «ogni mese siamo anche andate a Padova con la squadra per seguire un progetto che intendeva valutare quali fossero gli effetti benefici della pratica rugbistica sulla disabilità. E poi c’è stata anche Parigi, con il mio primo torneo femminile nel 2017».
Ma Maria non disdegna altri passatempi, soprattutto insieme alle Compagne d’Arte: «Abbiamo battezzato in questo modo un gruppo di amiche con cui appena possiamo, vediamo mostre, andiamo al cinema e viaggiamo». Ha dovuto interrompere i suoi mille progetti a causa del Covid, ma appena potrà ha già in mente di riprendere viaggiare, imparare nuove lingue, iscriversi a un corso di sci, correre sui kart.
E non ci sono dubbi, ci riuscirà.