L’Associazione Xeroderma Pigmentoso Italia Onlus accoglie l’invito dell’Associazione Explora e racconta in un video l’esperienza di mamma Valentina e della sua Arianna.
Mascherina e guanti, un’attenzione a tratti ossessiva per le precauzioni, il ritiro in casa per tutelare la propria sicurezza. Nelle ore diurne, però. Di notte, tutto è lecito. Quarantena da Coronavirus? No, quarantena da Xeroderma Pigmentosum.
In questi giorni stiamo imparando a convivere con una situazione che ha del surreale, di quelle che sinora abbiamo visto solo nei film, tanto anomala per noi che, se ce lo avessero anticipato solo due mesi fa, non ci avremmo probabilmente creduto. Una serie di progressive restrizioni più o meno grandi alla nostra libertà, perché di questo in fondo si tratta, ed è questo che ci fa soffrire, in nome di un bene assoluto: la salute, individuale e collettiva.
Eppure questa condizione di quarantena c’è chi è costretto a viverla sempre, ogni giorno della propria vita. È il caso di Arianna, una bambina di tre anni e mezzo affetta da Xeroderma Pigmentosum, o più semplicemente XP. Ma di cosa si tratta?
L’XP è una malattia genetica molto rara – l’incidenza, variabile da continente a continente, è di circa 1 paziente per milione di abitanti in Europa – che comporta il rischio di sviluppare tumori cutanei (basaliomi, carcinomi a cellule squamose, melanomi) in seguito all’esposizione ai raggi UV. Come ci ha spiegato in un’intervista la professoressa Donata Orioli, ricercatrice presso l’Istituto di Genetica Molecolare di Pavia, la malattia è legata a mutazioni in uno di 8 geni diversi, la maggior parte dei quali sono implicati nel riconoscimento e nella riparazione di specifici danni al DNA. Nelle persone affette da XP vi è l’incapacità di riparare le mutazioni del DNA provocate dai raggi UV, con conseguente aumento del rischio di sviluppare tumori della pelle. «In realtà non si tratta di una maggiore suscettibilità solo ai danni provocati dai raggi UV, ma anche a tutti gli agenti nocivi in grado di provocare alterazioni nella struttura della doppia elica, come ad esempio carcinogeni presenti nel fumo di sigaretta. I raggi UV sono però l’agente a cui tutti siamo più facilmente esposti, e la pelle è il tessuto su cui essi vanno ad agire, per questo le manifestazioni principali si rilevano sulla cute».
Non esiste al momento attuale nessuna terapia specifica per questa patologia, se non la prevenzione e l’individuazione precoce e la rimozione dei tumori cutanei. Ma in cosa consiste la prevenzione?
«Evitare i raggi solari, anche se è una giornata nuvolosa, perché i raggi UV passano attraverso le nuvole», spiega la professoressa Orioli. «Questo vuol dire applicare creme solari ad altissimo fattore di protezione; indossare sempre occhiali da sole, guanti, cappello, una maschera, tutto ciò che può bloccare il passaggio degli UV. Fornirsi di un rilevatore di raggi UV che ne misuri il livello negli ambienti in cui si entra, perché spesso anche la luce artificiale è fonte di UV, tranne le lampade a LED. Significa precludere a queste persone una vita sociale normale».
Significa dover vivere una vita schermati, nascosti in casa o coperti da protezioni ogni volta che si esce di giorno; significa poter vivere “liberi” soltanto quando cala il sole. Significa non poter entrare a scuola, in un museo, a casa di amici se prima non ci si è accertati che i vetri alle finestre siano protetti da appositi filtri anti-UV.
È quanto ci racconta la mamma di Arianna e presidente dell’Associazione Xeroderma Pigmentoso Italia Onlus, fondata lo scorso anno proprio nella sede di Milano di Fondazione Telethon e che raccoglie le famiglie italiane affette da questa patologia: volontaria di primo soccorso, si è ritrovata in queste settimane a effettuare il trasporto di un paziente poi risultato positivo al COVID-19, e per questo è stata posta in quarantena cautelare per 14 giorni. Una sorta di quarantena nella quarantena.
«Quando abbiamo scoperto la malattia di Arianna il mondo ci è cambiato, oltre a esserci cascato addosso… Quanto può essere grande per un bambino il sacrificio di dover stare in casa e non poter vivere al cento per cento con la spensieratezza della propria età, gli amici, le uscite all’aria aperta? Da allora cerchiamo di trovare qualsiasi rimedio, qualsiasi soluzione per farla vivere nel migliore dei modi, per darle tutte le opportunità degli altri bambini, per proteggerla».
In questi giorni di preoccupazioni, di ansia per il Coronavirus, il pensiero della mamma di Arianna va al futuro della bimba. «La situazione di quarantena che sto vivendo ora mi fa capire ancora di più come vivono i malati di XP. Tutti i giorni scruto i miei sintomi e mi chiedo se abbia contratto il Coronavirus e se debba avvisare il medico. Quando Arianna sarà grande, tutti i giorni si guarderà, noterà una macchiolina diversa e penserà “Speriamo che non mi sia venuto un tumore della pelle, dovrei andare dal dermatologo?”. Penso inoltre che in questi giorni tutti si stanno lamentando per una situazione di quarantena che è, per fortuna, transitoria».
Ma a che punto è la ricerca? La professoressa Orioli ci spiega che, come per altre malattie rare, non ci sono molti progressi nella direzione di una terapia “specifica”. Poiché, tuttavia, i tumori della pelle interessano un’elevata percentuale della popolazione, sono stati compiuti progressi per quanto riguarda l’approccio terapeutico alle lesioni neoplastiche, anche nel campo dell’immunoterapia. Per quanto riguarda la ricerca sulle cause genetiche dell’XP e sulle possibili soluzioni, tuttavia, vi è ancora molta strada da percorrere.
Un altro punto da rilevare è la solitudine in cui versano molto spesso le famiglie di questi bambini. I dispositivi di protezione non vengono passati dall’esenzione e sono le famiglie a doversi ingegnare per cercare quelli più idonei e a prendere contatto con la scuola affinché vengano messi in atto i necessari provvedimenti.
«L’ideale sarebbe creare anche in Italia un gruppo di supporto alle famiglie come quello che esiste in Gran Bretagna» spiega la professoressa Orioli. «Un team di persone altamente qualificate, che cura e segue i pazienti, prende contatto con i laboratori di ricerca, riesce a dare le informazioni giuste ai malati e alle loro famiglie. Fino a pochi anni fa le famiglie italiane tendevano a chiudersi, a isolarsi, a non cercare aiuto. Ma adesso, con la facilità maggiore di reperire informazioni, le cose stanno cambiando».
La mamma di Arianna è finalmente uscita dalla quarantena e ha potuto riabbracciare la sua bambina. Anche la nostra quarantena finirà, ma non quella dei pazienti con XP. «È una situazione momentanea quella che stiamo vivendo: abbiamo paura, ma una soluzione si troverà, perché tutto il mondo combatte per questo. È questo che ci dà la speranza. Vorrei però che ci ricordassimo anche in futuro delle persone che vivono questo problema, questa malattia ogni giorno, e che venisse data una speranza anche a loro. La speranza della ricerca». Proprio per dare altri spunti di riflessione, tenere accesa la speranza e non dimenticare la condizione che le famiglie vivono quotidianamente, l’Associazione XP ha colto l’invito di Explora a raccontare la storia di Arianna e mamma Valentina tramite un video, ora a disposizione di tutti.