La bambina, affetta da fibrosi cistica, non rispondeva a nessuna terapia. Luis Galietta del Tigem: «È una grande soddisfazione quando una scoperta scientifica ha un impatto così importante sulla vita di qualcuno».

Un successo di medicina personalizzata tutto made in Italy per una bambina di 4 anni affetta da fibrosi cistica: è quello ottenuto da una squadra multidisciplinare di ricercatori e clinici sparpagliati tra Napoli, Genova e Firenze, che per due anni hanno lavorato su un caso molto complicato alla ricerca di una possibile soluzione terapeutica.

Camilla, questo il nome della bambina, è nata nel 2015 a Firenze: come tutti i neonati è stata sottoposta nei suoi primi giorni di vita allo screening neonatale per la fibrosi cistica, che nel suo caso è risultato positivo. Le indagini genetiche successive hanno confermato la diagnosi e hanno messo in luce come la piccola avesse ereditato dai genitori una mutazione molto comune in un caso, e una rarissima nell’altro.

Per manifestare la malattia occorre infatti ereditare il difetto genetico da entrambi i genitori, portatori sani e quindi privi di sintomi: si stima che in Italia lo sia una persona su 25 e che una coppia su 600 sia composta da due portatori sani. Quella coppia ha una possibilità su 4 di mettere al mondo un bambino affetto, da qui il motivo per cui la fibrosi cistica è una delle malattie genetiche più frequenti (un bambino malato ogni 2500-3000 nuovi nati).

Il difetto genetico in questione è a carico del gene CFTR, che codifica per una proteina che si trova sul rivestimento (epitelio) di molti organi dell’organismo, dove regola il passaggio di cloruro e, in ultima analisi, la densità delle secrezioni. Si tratta di un gene molto lungo e ad oggi sono centinaia le diverse possibili mutazioni descritte che possono causare la malattia: tanto più la produzione o il funzionamento della proteina è compromesso, tanto più gravi saranno le manifestazioni a carico degli organi coinvolti, principalmente i polmoni e il pancreas, ma anche fegato, intestino, apparato riproduttivo. Per preservare il più possibile la funzionalità dei polmoni e degli altri organi, questi pazienti si sottopongono quotidianamente fin dai primi anni di vita a una terapia farmacologica e alla fisioterapia respiratoria, ma è soltanto negli ultimi anni che sono stati approvati i primi farmaci in grado di agire in modo specifico sul ripristino della funzionalità della proteina mancante (ivacaftor, lumacaftor e tezacaftor). Ciascuno di questi farmaci è specifico per una determinata classe di mutazioni, quindi la diagnosi genetica è strettamente necessaria per prevedere se il paziente sarà sensibile o meno.
Al momento della diagnosi, sulla base delle conoscenze disponibili Camilla presentava un profilo genetico assolutamente inedito, su cui i medici non erano in grado di pronunciarsi: una mutazione certamente sensibile a uno dei farmaci già disponibili, un’altra rarissima (di cui si conta soltanto un altro caso in Italia) ma simile a un’altra che purtroppo, nonostante “la luce verde” nei test in vitro, si era poi rivelata insensibile al farmaco in vivo, ovvero dopo la somministrazione ai pazienti.

I genitori di Camilla non si sono però persi d’animo e così, dopo averlo visto intervenire alla maratona Telethon, hanno contattato Luis Galietta, ricercatore dell’Istituto Telethon di genetica e medicina di Pozzuoli che da oltre vent’anni studia la fibrosi cistica, e gli hanno sottoposto il caso della loro figlia. «Abbiamo dovuto mettere in piedi una vera task force multidisciplinare, che oltre a noi del Tigem ha coinvolto Felice Amato e Giuseppe Castaldo del Ceinge di Napoli e un gruppo di biochimici dell’Istituto Gaslini di Genova, in continuo contatto con i clinici del Meyer di Firenze che seguono Camilla e in particolare con Vito Terlizzi. Insieme abbiamo dimostrato che la seconda mutazione di Camilla, quella più rara, aveva degli effetti molto diversi da quella che in altri pazienti era risultata insensibile ai farmaci. Per fortuna la mutazione rara di Camilla rispondeva al trattamento: una singola lettera, in una posizione diversa nel Dna, aveva infatti un impatto assolutamente diverso sulla proteina CFTR e permetteva al farmaco di ripristinarne la funzione» spiega Galietta. «Per farlo abbiamo prelevato alcune cellule dell’epitelio nasale della bambina, per essere sicuri che quanto osservato in laboratorio fosse effettivamente predittivo».

I risultati di questo studio, che ha richiesto oltre due anni di lavoro, sono stati pubblicati quest’anno sulla rivista scientifica internazionale Human Mutation e hanno permesso al Centro fibrosi cistica dell’Ospedale Meyer, dove è in cura Camilla, di richiedere all’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) l’autorizzazione a somministrarle il farmaco in modalità “off-label”, ovvero con un’indicazione diversa da quella per cui è stato autorizzato. Grazie al lavoro congiunto dei ricercatori del Tigem, del Ceinge e del Gaslini, la bambina potrà iniziare ad assumerlo per un periodo di sei mesi, al termine del quale si valuterà se proseguire o meno in base agli effetti riscontrati.

«È una grandissima soddisfazione quando la risoluzione di un problema scientifico ha un impatto così importante sulla vita di qualcuno, una bambina di soli 4 anni in questo caso».

Luis Galietta, ricercatore Tigem

Questa è la medicina personalizzata di cui si parla sempre di più, come avvenuto anche solo poche settimane fa in occasione del caso del milasen, il farmaco “disegnato” su misura del difetto genetico unico al mondo di Mila, una bambina americana affetta da una rara malattia genetica, quella di Batten». Non resta quindi che attendere e vedere se nei prossimi mesi il farmaco si rivelerà effettivamente efficace. Nel frattempo ha fatto il giro del mondo la notizia dell’approvazione negli Usa di un nuovo farmaco per la fibrosi cistica che è la combinazione di tre principi attivi diversi: complessivamente, potrebbero beneficiarne fino al 90% dei pazienti affetti da fibrosi cistica negli USA.  In Italia, questa percentuale si riduce a circa il 70% a causa di una diversa frequenza della mutazione che risponde alla triplice combinazione. L’azienda produttrice ha iniziato anche il percorso regolatorio nell’Unione europea, ma ancora non ci sono dettagli sui tempi. «Si tratta certamente di un momento storico molto importante per le persone affette da questa malattia: se in passato si poteva soltanto “tamponare gli effetti” oggi questi nuovi farmaci promettono di trasformarla in una malattia cronica, con un’aspettativa e qualità di vita sempre migliore. Il nostro lavoro deve continuare per quei pazienti che comunque non rispondono alle nuove terapie e per comprendere sempre meglio i fattori, genetici e non, che determinano la risposta clinica: la ricerca ha ancora tanto lavoro da fare, sempre al fianco dei pazienti» conclude Galietta.

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